Psicologia e non solo...Un anno di ricerca per salutare il 2014

Un articolo speciale per tutti i lettori del Blog del Benessere Psicologico. Le ricerche, gli studi e le scoperte che hanno caratterizzato il 2014. Un modo per salutare l'anno che volge al termine e augurare a tutti un 2015 pieno di...curiosità!

Macchine pensanti

Iniziamo dall'ambizione più grande dell'Intelligenza Artificiale (disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l'uso di un computer): "costruire una macchina pensante". La rivista Science inserisce nella top-ten delle migliori scoperte scientifiche del 2014 la messa a punto di "Chip Neuromorfici". I ricercatori del Massachussetts Institute of Technology hanno compiuto un passo importante in questo campo riuscendo a realizzare dei chip in grado di imitare la "plasticità neuronale" il modo in cui le reti di neuroni biologici rispondono e si adattano quando entrano in contatto con nuovi pattern di informazione.
I ricercatori del MIT pensano di utilizzare il chip per studiare numerose funzioni cerebrali, come ad esempio il riconoscimento visivo, senza dover ricorrere a costose simulazioni su supercomputer. Un'altra interessante applicazione del dispositivo è come interfaccia neurale, ad esempio per la realizzazione di retine artificiali, o come neuroprotesi. Un passo importante per la produzione di sistemi artificiali pensanti, ma purtroppo o per fortuna, ancora troppo poco per avvicinarsi al carattere autopoietico dei sistemi viventi...Lasciatecelo dire - L'essere umano è e resta ancora..."un'altra cosa"!



Il Deja vù è un sintomo dell'epilessia

Non fatevi ingannare dal titolo. La ricerca, pubblicata su Cortex e portata avanti dall'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia molecolare del Cnr, in collaborazione con la Clinica Neurologica dell’Università 'Magna Graecia' di Catanzaro, ha svelato gli scenari neurobiologici sottostanti questo affascinante e misterioso fenomeno psichico. Finora, non esisteva una risposta scientifica definitiva che ne spiegasse il funzionamento. "L’obiettivo era scoprire l'esistenza di una base anatomo-fisiologica comune nella genesi del déjà-vu tra soggetti sani e pazienti al fine di spiegare le basi di un fenomeno psichico che, in alcune circostanze, diventa patologico”, afferma Angelo Labate, neurologo associato dell’Ibfm-Cnr e docente presso l’Università 'Magna Graecia'.  Dietro un deja vù ci sarebbero quindi piccole variazioni anatomiche, ma in aree cerebrali diverse: corteccia insulare per i soggetti sani, corteccia visiva e ippocampo per le persone affette da epilessia. Il deja vù in relazione a un episodio epilettico sarebbe quindi "un sintomo organico di una memoria reale, anche se falsa". "Diversamente, per i soggetti sani, tale modifica parrebbe dimostrare che l'esperienza del deja vu è in realtà un fenomeno di alterata sensorialità dello stimolo percepito, più che un ricordo alterato: noi pensiamo di aver già visto quel posto, ma in realtà è la sensazione che abbiamo provato nel vederlo che richiama uno stimolo mnestico precedentemente associato”.


L'Italia apre la strada al farmaco contro l'autismo

Anche qui la prudenza è d'obbligo. Nessuna cura miracolosa, nessun allontanamento dalla multifattorialità e dal paradigma bio-psico-sociale. Non c'è dubbio però che la scoperta, frutto di una ricerca tutta italiana L'Italia apre la strada al farmaco contro l'autismo
guidata da Giuseppe Testa, dell'IRCCS Istituto Europeo di Oncologia e dell'Università Statale di Milano ed eseguita in collaborazione con il gruppo di Giuseppe Merla, dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG)


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, rappresenti un primo passo verso l'utilizzo di farmaci molecolari per il trattamento delle malattie mentali del neurosviluppo. Lo studio ha messo in luce come la L'Italia apre la strada al farmaco contro l'autismo
disfunzione nell'attività di alcuni geni, provocata da alterazioni del loro "dosaggio" (cioè da quante copie di quel gene siano presenti nelle cellule), alteri fin da subito lo sviluppo del cervello, del cuore, delle strutture del viso, insomma di tutti i principali organi coinvolti in malattie genetiche che associano disabilità mentale e/o autismo a varie anomalie a carico di numerosi organi. L'Italia apre la strada al farmaco contro l'autismo

I ricercatori hanno studiato due malattie causate da alterazioni speculari nel dosaggio genico, cioè la perdita o la duplicazione di 26 geni che stanno sul cromosoma 7. La perdita di una copia di questi geni causa la sindrome di Williams, malattia particolarmente interessante perché, a fronte di un ritardo mentale risparmia però in gran parte il linguaggio e dà luogo a una forma di ipersocialità o socievolezza, quella che i primi clinici chiamavano "personalità da cocktail party". La duplicazione degli stessi geni invece è stata da pochi anni associata all'autismo che ha sintomi diametralmente opposti: socialità compromessa, fino al cosiddetto ritiro autistico, associata appunto a gravi deficit nelle capacità linguistiche. Quindi esistono due alterazioni - simmetricamente opposte - del dosaggio genico, cui corrispondono alterazioni - anche queste simmetricamente opposte - in aspetti fondativi della condizione umana quali il linguaggio e la socialità. Tra questi 26 geni, uno in particolare - chiamato GTF2I - gioca un ruolo chiave come "fattore di trascrizione", cioè come gene che a sua volta regola la funzione di molti altri geni, accendendoli o spegnendoli.
«Abbiamo scoperto - spiega Giuseppe Testa - che GTF2I non agisce da solo, ma in associazione con un importante enzima, LSD1, che è coinvolto anche in molti tipi di tumore e contro il quale si sono cominciati a sviluppare, anche qui in IEO, molti nuovi farmaci. Ebbene, siamo riusciti a dimostrare che la somministrazione di farmaci contro LSD1 è in grado di ripristinare il corretto funzionamento di alcuni circuiti molecolari, anche in presenza di anomalo dosaggio di GTF2I, aprendo de facto la strada allo studio di come questi inibitori farmacologici possano essere un giorno impiegati anche nell'autismo e più in generale nelle malattie mentali del neurosviluppo. 

Addio brutti ricordi?

Un team di neuroscienziati americani è riuscito infatti a invertire le associazioni emotive legate ai ricordi. In pratica, quelli brutti sono stati trasformati in piacevoli. L’eccezionale ricerca, condotta sugli animali e descritta su Nature dagli scienziati del Mit, «fotografa» il circuito cerebrale che controlla come i ricordi si legano a emozioni positive o negative. Inoltre i ricercatori hanno scoperto che potevano invertire l’associazione emotiva di ricordi specifici. Il tutto manipolando cellule cerebrali con l’optogenetica, una tecnica innovativa e sperimentale che utilizza la luce per controllare l’attività dei neuroni. Una nuova possibile via per il trattamento del Disturbo Post-traumatico da Stress? Probabilmente sì. Ma siamo proprio sicuri di voler rinunciare,in un futuro, ai nostri ricordi anche se dolorosi? E soprattutto potrà mai un farmaco eliminare efficaciemente gli effetti di un trauma senza minare il nostro adattamento? Lasciamo a voi eventuali considerazioni.




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"La Bibbia n.5"

Non potevamo che chiudere questa breve rassegna con una delle novità più grandi che il 2014 ci lascia in eredità. E' di quest'anno infatti la pubblicazione, anche in Italia, della 5° edizione del Manaule Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM 5. Ecco alcuni cambiamenti introdotti:

  1. Nuove categorie per i disturbi dell’apprendimento e una categoria diagnostica unica per i disturbi dello spettro autistico, con inclusione di tutte le diagnosi: Asperger, disturbo dirompente dell'infanzia, disturbo pervasivo dello sviluppo (NAS). I membri del gruppo di lavoro inoltre raccomandano la modifica dell’etichetta diagnostica di “ritardo mentale”, da tramutare in “disabilità intellettuale”.
  2. Eliminazione delle attuali diagnosi di abuso da sostanze e dipendenza a favore della nuova categoria “dipendenze e disturbi correlati”. Questi includono disturbi da abuso di sostanza, dove ogni tipo di sostanza viene definita con la propria specifica categoria diagnostica. In questo modo sarà più semplice distinguere tra la ricerca compulsiva di sostanze, nell'ambito della dipendenza (“craving”), e la normale risposta di aumento della tolleranza nei casi di pazienti che usano quei farmaci che alterano il sistema nervoso centrale.
  3. Creazione di una nuova categoria diagnostica per le “dipendenze comportamentali” in cui verrà inserito il “gambling” (gioco d'azzardo patologico)
  4. Inserimento di nuove scale per valutare il rischio suicidario in adulti e adolescenti, con lo scopo di aiutare i clinici ad identificare coloro maggiormente a rischio. Le scale includono criteri derivati da ricerche sull’argomento, come ad esempio l’impulsività e l’uso di alcol in adolescenza.
  5. Considerazione di una nuova categoria di “sindromi a rischio” (“risk syndromes”), per aiutare i clinici a identificare precocemente eventuali disturbi mentali gravi, come demenza e psicosi.
  6. Inserimento della categoria diagnostica di “disregolazione del temperamento con disforia" (temper dysregulation with dysphoria, TDD), all’interno della sezione dei Disturbi dell'umore. I nuovi criteri saranno basati su studi precedenti con lo scopo di aiutare i clinici a distinguere i bambini con TDD da coloro i quali presentano un disturbo bipolare o un disturbo oppositivo- provocatorio.
  7. Riconoscimento del disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating) e criteri più adeguati per le diagnosi di Anoressia (AN) e Bulimia Nervosa (BN).


Santo Cambareri

Blog del Benessere Psicologico - I nostri auguri!




A tutti i nostri lettori, ai fan della pagina facebook, a tutti coloro che ci seguono e ci hanno supportato fin dall'inizio di questa fantastica avventura, a tutte le persone che hanno avuto modo di partecipare alle nostre iniziative, ai colleghi, gli amici, i compagni di lavoro...Insomma a chi ha creduto e continua a credere in noi...Un sincero augurio di 
Buon Natale!!! Rigorosamente..."A modo nostro"

















Reggio Calabria: "Ottobre Mese del Benessere Psicologico" il programma completo delle iniziative

Prende il via la campagna di sensibilizzazione e promozione della cultura del benessere della persona: "Ottobre - Mese del Benessere Psicologico", promossa dall'associazione di categoria PLP - Psicologi Liberi Professionisti. Tra le iniziative in programma, l'offerta di consulenze e seminari gratuiti. L'obiettivo è quello di promuovere il benessere psicologico come presupposto fondamentale al fine di favorire un incremento della qualità della vita e come elemento fondante del concetto di salute, nell'ottica di una crescita personale finalizzata al benessere globale e in accordo col modello bio-psico-sociale che pone al centro interdisciplinarità e prevenzione. La campagna si pone inoltre l'obiettivo di diffondere un'adeguata informazione sul ruolo dello psicologo e sulle sue funzioni, nonchè sull'esistenza di studi e centri clinici, nel territorio della provincia di Reggio Calabria, che erogano servizi di consulenza, al fine di rintracciare una valida alternativa al servizio pubblico. Le attività si snoderanno lungo tutto il mese di ottobre con diversi momenti di confronto e riflessione. Vediamo nel dettaglio gli eventi in programma.


Si parte domani (venerdì 3 ottobre) con il primo degli "Psico-seminari", in programma tutti i venerdì di ottobre alle ore 19:30 presso la sede dell'associazione "Mente e Relazioni" - Via Georgia n.6 - Reggio Calabria, tema dell'incontro "La gestione dei conflitti familiari per una crescita sana e produttiva". Il mercoledì sarà invece il giorno riservato allo "Psico-Aperitivo - Lo psicologo a portata di drink", un momento di riflessione e confronto nel cuore della città, presso il Malavenda Cafè - Via Zecca n.1 Reggio Calabria, il primo incontro è in programma mercoledì 8 ottobre dalle ore 19:30.
Diversi gli argomenti che gli psicologi e psicoterapeuti aderenti all'iniziativa avranno modo di trattare e condividere con i partecipanti, dalla gestione dello stress alle dinamiche relazionali e di coppia; dall'autostima e l'autoefficacia alle tecniche di coaching per il successo professionale.

Inoltre dal 16 ottobre fino all'11 dicembre 2014 gli psicologi PLP saranno sulle frequenze di Radio Touring "Community" ogni giovedì dalle 16:30.
Sul sito www.plpcalabria.it è possibile prendere visione dell'elenco dei professionisti aderenti all'iniziativa e prenotare una consulenza gratuita

Terapia Multisistemica in Acqua - a Reggio Calabria il metodo Caputo-Ippolito sposa la Vela

Si chiama Terapia Multisistemica in Acqua (TMA) ed è il metodo, ideato in Italia, da Giovanni Caputo, psicoterapeuta di approccio Cognitivo-Comportamentale e Giovanni Ippolito, psicologo, psico-oncologo, specializzando in Psicoterapia Sistemico-Relazionale. Il metodo TMA si rivolge a soggetti affetti da: disturbi dello spettro autistico, disturbi pervasivi dello sviluppo, disturbi della comunicazione. La terapia viene svolta all'interno delle piscine pubbliche ed è applicata con successo in quasi tutte le regioni d'Italia, grazie anche alla collaborazione con diverse associazioni sul territorio. Durante il periodo invernale, dalle pagine del nostro blog, avevamo informato i lettori dell'attivazione del programma nella città di Reggio Calabria presso la Piscina dell'A.S.D. Andrea Maria. Oggi 9 luglio, prende invece il via il progetto "A...mare, autismo in vela" presentato presso il Lido Poseidon sul Lungomare di Catona (RC), dai responsabili dell'iniziativa e alla presenza delle autorità. Le attività, promosse dalla TMA in collaborazione con l'Associazione Velica "Pasquale Chilà", sono state illustrate dalla Dott. Anna Arena, coordinatrice calabrese per la TMA. Il progetto, si inserisce all'interno di un percorso clinico terapeutico integrato e si propone come strumento di formazione e di socializzazione per i ragazzi  i bambini con autismo per trasmettere la passione per il mare, una cultura e una realtà diversa dalla quotidianità. "Tale progetto - specifica la Dott. Arena - offre l'opportunità di vivere un'esperienza motivante, a contatto con un ambiente unico come il mare che regala stimoli ed emozioni. L'esperienza della barca a vela trasmette serenità, energia e spirito d'avventura. A bordo, il bambino, è portato ad abbandonare i suoi comportamenti usuali ed individualistici per diventare parte di un gruppo. Tale gruppo interagisce, condivide le emozioni di una prova fisica ma anche intellettuale, in cui ogni singolo membro è indispensabile. La vela diventa così un mezzo efficace ed irripetibile per l'interazione sociale reciproca. Oltre al'interazione sociale, altro obiettivo, è migliorare l'autostima, attraverso la consapevolezza di poter essere, in determinate situazioni, autonomi e in grado di prendere decisioni. Partendo dalla considerazione generale, la metodologia TMA, nel progetto AMARE, è fondata sul rapporto umano e su, nuove procedure (nuove per i bambini) tecnico-sperimentali, pertanto propone, ulteriormente, la modificazione degli schemi cognitivi, comportamentali, emotivi e di interazione, nonché sul versante psicoeducativo, nuovi elementi di razionalità, in una sorta di co-costruzione della diagnosi funzionale che rispecchia le reali capacità del bambino. L'esperienza in campo ha dimostrato, sui bambini trattati, la diminuzione dei comportamenti tipici dell'autismo quali: aggressività, stereotipie verbali, visive e uditive, incrementando invece, l'attenzione, la ricettività, l'integrazione."

IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE : MIGLIORARE IL PROPRIO ATTEGGIAMENTO PER MIGLIORARSI

                



Il nostro blog nasce proprio con l’intento di porre l’accento sulla qualità della vita e sul benessere  soggettivo che ne deriva, per renderci consapevoli delle  risorse interiori, esclusivamente NOSTRE e non legate ai beni materiali di cui disponiamo. Negli ultimi anni numerose sono state le ricerche scientifiche che hanno sottolineato come il raggiungimento del ben-essere, vivendo ottimamente, stia diventando non solo un’aspirazione individuale ma un vero e proprio obiettivo di ricerca (American Psychologist 2005, Ricerche di Psicologia, special issue, 2004).   Dunque il benessere deriva da una disposizione mentale, da un atteggiamento. Quante volte  è capitato al mattino di alzarci con il piede sbagliato e di vivere i momenti di quella stessa giornata con un umore nero e interpretare gli eventi in maniera negativa? Ecco come si può spiegare l’atteggiamento che può influenzare l’intera qualità della nostra vita. In generale per atteggiamento si intende la disposizione della nostra mente nei confronti di ciò che ci succede, è il modo con cui scegliamo di pensare a noi stessi, agli altri e al mondo e i nostri atteggiamenti sono un riflesso delle nostre convinzioni. Perciò l’atteggiamento si  configura come qualcosa di più complesso. Esso è costituito da diverse componenti come le emozioni, i nostri pensieri, i comportamenti, le relazioni con gli altri e con il mondo in generale e il nostro corpo. Chiunque infatti ha detto o ha sentito dire ad un amico o/a persone a lui care frasi di questo tipo : oggi mi sento triste, perché temo di non concludere nulla nella mia vita, quindi preferisco uscire e andare a fare shopping, o starò qui fermo perché voglio stare da solo, e poi mi sento scarico e privo di energie. Se analizziamo parola per parola, la frase appena letta, ci accorgeremmo che sono presenti i diversi elementi che costituiscono l’atteggiamento. Se siamo tristi, avremmo pensieri negativi, se siamo allegri saremo anche più ottimisti, se siamo preoccupati avremo la mente occupata dalle paure che ci offuscano e ci rendono fragili. Potrebbe allora aiutarci un atteggiamento positivo alla vita, dove gli ostacoli vengono trasformati in obiettivi da raggiungere e superare. Tale atteggiamento è generalizzabile ai diversi contesti di vita quotidiana, dalla scuola all’università, in famiglia, con il partner, sul posto di lavoro, con gli amici.


Inizialmente l’ottimismo era considerato come appartenente alla corrente della psicologia del senso comune, è soltanto a partire dal 2000 che essa è entrata a far parte della psicologia scientifica, come costrutto vero e proprio (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000). Nel 1990 infatti lo Psicologo statunitense Martin Seligman ha pubblicato un libro che gettò le basi per la nascita della psicologia positiva, il libro si intitolava “Imparare l’ottimismo”. di fatto l’autore ha dimostrato come si possa imparare a pensare positivo. Ottimisti non si nasce, ma ci si diventa! Numerose ricerche attestano che gli ottimisti si ammalano di meno, vivono più a lungo, hanno una vita relazionale più ricca. Basta cambiare il proprio modo di interpretare gli eventi. Martin Seligman è direttore del Centro di Psicologia Positiva dell’Università  della Pennsylvania, autore di 15 libri, alcuni dei quali tradotti in 20 lingue e grandi quantità di articoli pubblicati anche su numerose riviste scientifiche; egli stesso affermò: “Divenne la mia missione indirizzare la scienza e la pratica della psicologia verso una grande domanda: Come possono gli esseri umani essere più felici e come possiamo imparare ad esserlo?” (Martin Seligman). Da qui, l’acronimo PERMA (Positive emotion, Engagement, positive Relationships, Meaning, Achievement) che secondo l’autore identifica gli elementi fondamentali che dovrebbero essere parte integrante di una vita vissuta pienamente. Il suo principale interesse fu infatti individuare caratteristiche, risorse e competenze per poterli trasformare in potenzialità senza naturalmente negare il disagio psicologico. Gli studiosi Sheldon e King (2001) affermano che “la Psicologia Positiva non è niente di più che lo studio scientifico delle forze e delle virtù degli esseri umani […], considerando la persona media e cercando di individuarvi cosa funzioni e cosa sia possibile migliorare”. Con questa definizioni anche questi autori hanno sottolineato come un ruolo fondamentale per migliorare il proprio atteggiamento siano le risorse interiore e le potenzialità degli individui, concentrandosi così sui punti di forza delle persone.


Secondo un articolo apparso su Le Scienze.it del 2011, l'ottimismo si troverebbe in un gene, ma, aggiungono anche, "si può imparare". Secondo un gruppo di ricercatori dell'Università della California a Los Angeles, è stato individuato un gene strettamente connesso all'atteggiamento ottimistico, all'autostima, all'attribuzione di causa data agli eventi che si susseguono durante la nostra vita. Shelley E. Taylor, colei che ha diretto lo studio, ha affermato difatti che è da tanti anni che è alla ricerca di un gene collegato alle sopracitate risorse psicologiche ma è arrivata alla conclusione che non era il gene che si aspettava di trovare. Il gene di cui parla codifica un recettore dell'ossitocina (OXTR), un ormone che aumenta di fronte allo stress ed è associato a buone abilità sociali e in una specifica posizione può presentarsi in due varianti: variante A (adenina) e variante G (guanina). Diversi studi hanno suggerito che le persone con almeno una variante "A" sono maggiormente sensibili allo stress, dimostrano carenti abilità sociali e sono più esposti a problemi di salute mentale. I ricercatori hanno contestato che le persone che nello specifico hanno due A, o una A e una G, manifestano livelli più bassi di ottimismo, autostima, autoefficacia e autocontrollo sugli eventi della propria vita rispetto alle persone che hanno due G.

“A volte le persone sono scettiche sul fatto che i geni possano far prevedere qualsiasi tipo di comportamento o lo stato psicologico. Penso che abbiamo dimostrato in modo conclusivo che lo fanno”, ha sostenuto  Taylor, che ha però evidenziato che ciò non significa appieno che lo determinino. Continua Taylor: “Alcune persone pensano che i geni siano il destino, che se si ha un gene specifico, allora si avrà un esito particolare. Non è assolutamente così. Questo gene è un fattore che influenza le risorse psicologiche e la depressione, ma c'è molto spazio per i fattori ambientali. Un buon sostegno durante l'infanzia, buone relazioni, amici e anche altri geni hanno tutti un ruolo nello sviluppo delle risorse psicologiche, e questi fattori svolgono un ruolo molto importante se le persone diventano depresse”; più geni si studiano, più ci si rende conto che molti fattori influenzano la loro espressione”. Ma anche coloro che possiedono la variante A sono in grado di gestire lo stress e/o superare la depressione, spiega Taylor, perché non hanno trovato nulla che interferisse con le modalità di coping, ovvero strategie di fronteggiamento di eventi stressanti. Si conclude così l’articolo che arriva a confermare ciò che sostiene anche Seligman, che se all’inizio prima della scoperta di questo gene, per la Taylor la biologia determinasse gran parte del comportamento, ora sostiene, come sia stata una sorpresa osservare che le buone relazioni sociali potessero modellare la biologia di base, anche per quanto riguarda l’espressione genica.
Dunque l’ottimismo si può imparare, l’atteggiamento positivo è solo una diversa lettura dei significati che diamo ai nostri eventi. Proviamo dunque a considerare l’altro lato della medaglia (Giannantonio M., Boldorini A.L., 2005) come se fosse un gioco, osservare con desiderio di sapere e apertura mentale ciò che ci succede, potrebbe contribuire a migliorare il nostro umore e migliorare perché no, anche la nostra autostima e la visione che abbiamo di noi stessi. Parafrasando una canzone di un famoso artista italiano, Prendiamoci il Meglio che questa vita ci riserva, o per lo meno, io aggiungo proviamo a considerare il meglio piuttosto che il peggio. Tentar non nuoce.

Dott.ssa Carmela Gratteri



A piedi da Milano a Catania per inseguire un sogno!


Oggi voglio presentarvi un amico, raccontarvi un'impresa, parlarvi di un sogno. L'amico in questione si chiama Salvatore Annaloro (detto Saso) giovane architetto con la passione per l'arte in generale e la musica in particolare. Responsabile di diversi progetti nell'ambito dello studio e la conservazione del patrimonio architetonico-archeologico e ambientale e già fondatore di un'agenzia di architetti, Saso fa  della "Signora Architettura", come ama definirla, contesto lavorativo e amore al contempo; idea, tecnica e materia del "fare umano", con la quale ben si conciliano le sue passioni: cantautorato, poesia, design, pittura. Così nel 1996 nasce "Stralci di Inferno" serie di poesie e scritti ermetici. Nel 2004, la musica prende il sopravvento e inizia la produzione dell'album ADAM, assieme ai Fuorionda, con tre brani inediti presentati alle selezioni di Arezzo Wave 2005. Le altre passioni, sempre in fermento, sono però dietro l'angolo, nel 2009 infatti,  partecipa al Premio Nazionale “Bruno Munari”, con l’Opera selezionata “L'Ove” - Progettazione di oggetti, arredi, servizi per l'infanzia, che espone al Teatro Agorà, Triennale di Milano. Nel 2010 è finalista del Marte Live nella sezione Poesia della serata finale sud Italia a Pizzo Calabro (VV); ed espone al Castello di Crotone con la collettiva pittorica Metamorfosi: "Percezioni di un cambiamento in corso" nell’ambito del V Percorso dei Sensi. Nel 2011 partecipa al Premio Poggiobustone ed al Musicvillage. Sempre nel 2011 arriva l'esordio come cantautore con il brano "20 Gennaio 1962". 
Con la descrizione mi fermo qui, perchè, ripercorrendo le tappe della carriera di Saso, potrei fomentare l'irrequietezza che lo contraddistingue, correndo il rischio di perdermi dietro un'idea appena uscita dalla sua testa o magari di perdermi fisicamente il protagonista di questo articolo per poi ritrovarlo a mettere in piedi un nuovo progetto artistico. Veniamo all'impresa. Come dicevo, il mio amico è un irrequieto e come tutti gli irrequieti non sa stare fermo! Bene è quello che farà Saso quest'estate: non si fermerà mai (o forse solo per dormire). Il primo passo è in programma domani, mercoledì 25 giugno e sarà uno dei tanti, tantissimi, passi che condurranno Salvatore, assieme ad altri due temerari (Federico e Gigi) a percorrere a piedi, in 40 giorni, la distanza che separa Milano e Catania! Avete capito bene, in giro per l'Italia per poco più di un mese, durante il quale i partecipanti all'impresa, potranno contare solo sulle proprie gambe e sull'estrema voglia di portare a termine il viaggio. La domanda però sorge spontanea: "Perchè tutto questo?" Quali le motivazioni che portano tre giovani trentenni a percorrere a piedi la penisola? La risposta è nel sogno e il sogno si chiama "Officine del Tempo".
le tappe

Un sogno vero, di quelli che si toccano con mano. "Uno spazio per ridurre al minimo le condizioni sfibranti del vivere" -  come lo definiscono gli ideatori del progetto -  "per rendere l’uomo libero di riappropriarsi del tempo e per potersi dedicare allo sviluppo della creatività tramite il proprio lavoro, la ricerca e la sperimentazione su innovazioni e tradizione". L'idea è quella di acquisire e ristrutturare un'ex struttura industriale a Milano, da riconvertire e restituire alla comunità, realizzando alloggi a basso costo per famiglie e studenti. Uno spazio concepito in tre blocchi, il primo destinato alla funzione abitativa; il secondo atto a ospitare la sezione operativa, con un teatro, aule per la musica, laboratori tecnici ed artistici, botteghe artigianali, laboratori di recupero materiali e energie rinnovabili, officine meccaniche; il terzo blocco andrebbe invece  a ospitare uffici, studi condivisi e una biblioteca. Tempo, spazio e creatività, questi i punti cardine del progetto; concetti che prendono vita in un luogo fisico e che vengono declinati nella logica della riappropriazione. Riappropriazione dello spazio per reagire alla crisi economica e rispondere alle emergenze abitative, riappropriazione del tempo, per dar vita a un luogo in cui uscire dalla logica frenetica della società attuale, riappropriazione della creatività, dando spazio alle idee, stimolando il senso di comunità e restituendo dignità al lavoro. Ecco il senso della lunga "camminata" che rappresenta la prima fase del progetto: riprendersi il tempo e lo spazio, non di corsa, non con un mezzo di locomozione, ma a piedi, per ascoltare la gente, presentare l'ambiziosa idea, raccogliere consigli utili e far partecipare in maniera diretta tutta Italia alla realizzazione fisica delle Officine del Tempo. Ok, ho detto tutto (o quasi!), perchè adesso vi chiederete cosa c'entra il nostro blog con il progetto: "Forse l'articolo ha la funzione di presentare i risulati di una nuova ricerca che dimostra che percorrere l'Italia a piedi contribuisce al benessere psicofisico? Niente di tutto questo. Quando Saso mi parlò per la prima volta della sua ambiziosa idea, riconobbi alcune similutidini con lo spirito che ha animato la creazione del Blog del Benessere Psicologico. Anche noi, come i tre "viandanti" in questione, abbiamo voluto dar vita a uno spazio di condivisione che potesse veicolare esperienze e favorire il confronto, ma soprattutto,  crediamo nell'importanza di restituire, ad una società sempre più orientata al successo e all'efficienza a tutti i costi, l'esigenza di riscoprire se stessi, sostituendo, per quanto possibile, il concetto di "poter essere" al concetto di "dover essere". Ci sono miliardi di esempi che raccontano di quanto il mondo sia cambiato e oggi, nonostante siamo sempre connessi con tutto e con tutti, lo siamo sempre meno con noi stessi e con chi ci sta accanto. Queste, le parole che presentano il progetto PassoUno - Officine del Tempo ed è forse proprio nel senso di questa semplice frase che ci riconosciamo simili ai tre "sognatori-camminatori" ai quali vogliamo rivolgere il nostro più sentito "in bocca al lupo" per l'impresa che prende il via domani 25 Giugno con la prima tappa da Milano a Lodi che si chiuderà con l'incontro (ore 20:30) presso la Caffetteria Albarola di via Maestri del Lavoro dove è in corso una mostra della Maestra d'Arte, attrice e poetessa Tamara Majocchi. Per conoscere tutti i dettagli dell'iniziativa, le tappe di PassoUno e sostenere il progetto, non vi resta che cliccare su officineinformazione.it


Santo Cambareri


La lectio magistralis di Giacomo Rizzolatti a Reggio Calabria, altissimo momento di cultura e scienza


Come promesso, rieccoci. Il tempo di riorganizzare le idee e dare un'occhiata agli appunti raccolti per poter raccontare dalle pagine del Blog del Benessere Psicologico, la lectio magistralis dal titolo: "Sono gli altri come me? Meccanismi neurali alla base dell'empatia", tenuta ieri 11 giugno 2014 all'Università "Mediterranea" di Reggio Calabria dal Prof. Giacomo Rizzolatti. Si inizia con i saluti e gli interventi introduttivi, tenuti dal Dott. Paquale Veneziano attuale Presidente dell'Ordine dei Medici di Reggio Calabria, dal Prof. Attilio Gorassini direttore del Dipartimento di Giurisprudenza e Economia dell'Ateneo reggino e dal Prof. Carlo Morabito prorettore delegato all'internazionalizzazione e ai rapporti istituzionali dell'Università "Mediterranea". Diversi gli argomenti che aprono la giornata di studio e approfondimento. Suggestioni, citazioni e influenze che provengono dai vari ambiti di ricerca dei relatori e che ben si sposano con i diversi campi di applicazione avviati dagli sviluppi delle ricerche di Rizzolatti e del "Gruppo di Parma". Gli interventi introduttivi si concentrano sugli apporti della ricerca all'ingegneria biomedica, sulle tematiche dell'apprendimento riguardanti le applicazioni ingegneristiche del Machine Learning e gli studi pioneristici sull'apprendimento per imitazione da parte delle macchine artificiali, fino ad arrivare alle modalità che caratterizzano la ricerca scientifica, l'importanza della meticolosa preparazione di ogni esperimento "Ingrediente fondamentale anche per le scoperte caratterizzate da serendipità" come sottolinea il Prof. Morabito.
I richiami e le citazioni non trascurano il campo del diritto, è il caso infatti di citare anche la riflessione del Prof. Gorassini sulle implicazioni dell'empatia nell'ambito delle regole sociali "L'io e il tu che permettono il noi" e il richiamo alla filosofa tedesca di origini ebraiche Edith Stein (in religione: Santa Teresa Benedetta della Croce). Un ricco "antipasto" scientifico e culturale che apre alla fame di scienza, presto saziata dall'entrata in scena di Rizzolatti. Il neurologo di fama mondiale, si avvicina al microfono e inizia a snocciolare dati accompagnati da citazioni e riflessioni di esimi autori, pensatori e filosofi. Rizzolatti si sofferma sul carattere di novità, in termini di prospettiva metodologica, avviato dalla ricerca sui neuroni dell'area F5 del cervello del macaco che corrisponde topologicamente all'area 44 di Brodman del cervello umano, la cosiddetta area di Broca implicata nella produzione del linguaggio. Il momento descritto da Rizzolatti è precedente alla scoperta dei neuroni specchio, ma è fondamentale per comprendere (e i video degli esperimenti accompagnano la spiegazione) che nel cervello di questi mammiferi i suddetti neuroni si attivano non solo quando viene fatto un movimento fine a se stesso, ma anche quando il movimento è finalizzato alla prensione di un oggetto. Questa scoperta introduce il concetto di "scopo" nello studio e nell'osservazione scientifica dell'atto motorio: un movimento della mano è una semplice modificazione delle parti motorie, l'atto motorio del prendere implica invece uno scopo. Un passo avanti cruciale, al quale succede la scoperta a diro poco sconvolgente e cioè la "comparsa" del "sistema specchio". I presenti, vengono condotti per mano dentro l'esperimento, attraverso la visione dei video del Gruppo di Parma e hanno modo di  ascoltare il rumore prodotto dai potenziali d'azione, "gli spari" dei neuroni che si attivavano, nelle scimmie, sia in corrispondenza dell'atto prensorio di un oggetto che durante l'osservazione dello stesso atto riproposto dallo sperimentatore. Ecco i neuroni specchio! Esitono nel cervello della scimmia (e anche nel cervello umano) dei neuroni che si attivano sia quando si prende un oggetto che quando si osserva un'altra persona fare la stessa azione. Un momento importante che permette agli uditori di percepire appieno l'importanza della scoperta e consente al Prof. Rizzolatti di addentrarsi nella spiegazione della funzione dei neuroni specchio. A cosa servono i neuroni specchio nell'area motoria? A cosa è dovuta la loro presenza? Rizzolatti si appresta a dare una risposta al quesito illustrando le due ipotesi principali: la prima riguardante l'apprendimento per imitazione e la seconda legata alla capacità di capire gli altri. Contrariamente a quanto si pensa, sottolinea Rizzolatti, l'attività imitatoria delle scimmie (a quanto scoperto dagli etologi) è molto scarsa. A questo proposito vengono citate le osservazioni di Nicholas Keynes Humphrey psicologo inglese autore di ricerche sullo sviluppo dei meccanismi che regolano la coscienza e lo sviluppo dell'intelligenza umana. Humphrey, durante i suoi esperimenti sui gorilla, si domandò perchè a un cervello dal significativo sviluppo, non corrispondessero altrettanti significativi comportamenti e funzioni che giustificassero tale sviluppo. I neuroni specchio sembrano avere la risposta, rintracciata nei bisogni riguardanti la vita sociale delle scimmie, caratterizzata da una straordinaria complessità. Arriva quindi il momento di mostrare ai presenti le immagini dell'esperimento più affascinante e denso di significato che apre alla funzione fondamentale dei neuroni specchio sull'empatia. La prima parte dell'esperimento illustrato riguarda l'atto del mordere nell'uomo, nelle scimmie e nei cani. Rizzolatti sottolinea, dati alla mano, come non vi è alcuna differenza di attivazione dei neuroni specchio nell'uomo nel momento in cui si osserva un'altra persona mordere, una scimmia o un cane. La differenza sopraggiunge nella seconda parte dell'esperimento in cui vengono presentati dei messaggi comunicativi: l'uomo leggeva un giornale e si notava l'azione del lip reading cioè il movimento delle labbra mentre si legge, la scimmia metteva in pratica il gesto affiliativo del lip smacking e cioè aprire e chiudere le labbra protuse in avanti come gesto affiliativo, il cane abbaiava. I risultati dimostrano che il sistema mirror nell'uomo non si attiva osservando il cane abbaiare, ma si attiva osservando il lip reading in un'altra persona e il lip smacking nelle scimmie. E' come se i neuroni specchio si "illuminassero" nel momento in cui vediamo un gesto con il quale empatizziamo, che riconosciamo simile e appartenente in qualche modo al nostro sistema motorio. "Noi possiamo far finta di abbaiare, ma non sappiamo cosa c'è dietro all'azione di abbaiare e allora ci limitiamo ad interpretarlo cognitivamente". Ecco l'importanza dei neuroni specchio: nel cervello dell'uomo esiste un sistema che ci fa riconoscere l'altro uguale a noi. E' come se l'empatia avesse un correlato di natura fisiologica. Capiamo i comportamenti dell'altro, simile a noi, non perchè facciamo una costruzione cognitiva, un'interpretazione o un'inferenza, ma perchè sentiamo quello che l'altro sente. Risultati che aprono la discussione a osservazioni di natura culturale e sociale, alle quali Rizzolatti non si sottrae. Il quesito in sintesi è il seguente: "Se l'uomo riconosce il suo simile a livello neurologico e empatizza con lui, per quale motivo: storia, cultura e società, ci restituiscono azioni in cui l'empatia viene annullata come ad esempio la "shoah"? La risposta può essere rintracciata proprio nel sistema mirror, possiamo infatti ipotizzare, in base agli esperimenti portati avanti dal Gruppo di Parma che i nostri neuroni specchio non si attivano nel momento in cui non riconosciamo l'altro simile a noi. Una visione affascinante che tira in ballo l'azione trasformativa degli aspetti sociali sui nostri comportamenti. L'esempio fatto da Rizzolatti è quello della segregazione raziale o della schiavitù: "Scompare l'empatia quando non consideriamo più gli altri come noi stessi". A chiusura della lecrtio magistralis, Rizzolatti fa un accenno al concetto di "Meme", neologismo introdotto dal biologo Richard Dawkins nel 1976 nel saggio dal titolo: "Il gene egoista". Il "Meme" è un elemento di una cultura che può ritenersi trasmesso da un individuo ad un altro con mezzi non genetici, ma attraverso imitazione. Per avere un’idea di meme, Dawkins fa l’esempio di melodie, idee, frasi, mode, abitudini alimentari ecc.: il meme è un replicatore che obbedisce alla teoria evoluzionistica. E’ dotato di tre qualità fondamentali: fedeltà, fecondità e longevità. I  memi, in quanto replicatori, agiscono diffondendosi e saltando da un cervello ad un altro e nel contempo si conservano, in maniera simile ai virus. I memi che si affermano sono quelli più facili da imitare, quelli capaci di indurre processi di memorizzazione duraturi. I memi più forti si diffondono a spese di quelli più deboli, e così facendo modificano l’ambiente in cui crescono diffondendo anche il meccanismo di replicazione che rende possibile la loro copia. Seguendo questo schema, la diffusione di culture e idee potrebbe agire sugli aspetti innati che rendono l'uomo un soggetto empatico per natura. La giornata, si chiude con le domande dei presenti e con la consegna del "Premio Eudardo Renato Caianiello" al Prof. Giacomo Rizzolatti, a suggellare un momento che ha regalato all'ateneo Reggino e alla città di Reggio Calabria un'occasione di approfondimento e di studio a dir poco unica.

Dott. Santo Cambareri
Psicologo - Specializzando in Psicoterapia Sistemico Relazionale 

Una "star" della scienza a Reggio Calabria. Giacomo Rizzolatti, il padre dei Neuroni Specchio

Una storia degna di un romanzo, una vita dedicata alla scienza, una scoperta che ha cambiato il modo di concepire il cervello. In due parole: Giacomo Rizzolatti. Nato a Kiev 77 anni fa. Negli anni '30 scampò alle "Grandi purghe" staliniane e fu rispedito in Italia dal regime Sovietico insieme alla sua famiglia, residente in Ucraina dalla fine dell' '800. In un'intervista a Repubblica.it, racconta: "Quando una volta chiesi a mio padre, perchè, sapendo cos'era accaduto in Unione Sovietica, aveva deciso di partecipare alla guerra partigiana in Italia, mi rispose: perchè lì, come quì, pensavamo comunque ad un mondo migliore". Inizia in Italia, la sua storia di scienziato, nel 1961 si laurea in medicina all'Università degli Studi di Padova nel 1964 consegue la specializzazione in Neurologia, poi uno dei tasselli più importanti nella sua formazione, l'incontro col Prof. Giuseppe Moruzzi e i tre anni passati presso l'Istituto di Fisiologia dell'Università di Pisa. Lo stesso Rizzolatti definisce Moruzzi, una figura importante per la formazione di un "atteggiamento critico, come manifestazione di creatività e indipendenza di giudizio. Di solito si pensa che solo gli artisti sono creativi e che gli scienziati facciano il lavoro rigido. Non è così. (Moruzzi) E' stato un uomo fondamentale con una visione umanistica straordinaria. Ricordo ancora che una delle prime cose che mi chiese fu se conoscevo la Recherche di Proust. Balbettai che sì qualcosa avevo letto. Mi guardò e rispose: naturalmente in francese, se no è come non averla letta". Trasferitosi a Parma, Rizzolatti, diventa in breve professore  di Fisiologia umana ed è proprio a Parma che, tra gli anni '80 e '90 inizia il percorso che porta alla scoperta dei Neuroni Specchio. Giacomo Rizzolatti coordina il gruppo di ricercatori, ormai famoso come "Gruppo di Parma", composto da: Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino. Si racconta che la scoperta avvenne per caso (come del resto quasi tutte le grandi scoperte scientifiche). Sembra che mentre uno sperimentatore prendeva una banana da un cesto di frutta, preparata per degli esperimenti sui macachi, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena reagirono. Inizialmente si pensò subito a un difetto nelle misure o a un errore nella strumentazione, ma, a verifiche effettuate, le reazioni si ripresentarono tutte le volte che veniva afferrato il frutto. Da qui la scoperta: nel cervello delle scimmie esistono dei neuroni che si attivano sia quando si compie un'azione, sia quando la si vede compiere! Nel 1995, il "Gruppo di Parma" dimostro l'esistenza di un sistema simile anche nell'uomo. Una svolta epocale che va dall'apprendimento per imitazione, fino allo sviluppo dell'empatia. Prima di allora, l'atto motorio era considerato un semplice atto esecutivo, con i Neuroni Specchio salta la rigida e aritificiale separazione tra aerea percettiva, cognitiva e motoria: "Il cervello che agisce è anche il cervello che comprende". Un meccanismo che rende l'uomo sociale per natura, che ci porta a considerare l'altro come noi stessi, che rappresenta la base fisiologica della "metacognizione", della previsione delle reazioni altrui, dell'empatia e delle relazioni umane. I "Neuroni Specchio" hanno aperto la strada a nuove scoperte, soprattutto nell'ambito del Disturbo dello Spettro Autistico e nello sviluppo dell'emotività, ma hanno anche dato vita a quello spazio comune tra un "Io" e un "Noi", estrapolandolo da una concezione astratta e fornendone un corrispettivo fisiologico.
La storia di Giacomo Rizzolatti e delle sue scoperte incrocia domani (11 giugno 2014) la storia dell'Ateneo di Reggio Calabria. Rizzolatti verrà infatti insignito del "Premio Edoardo Renato Caianiello, istituito dal Prof. Morabito docente dell'Università Mediterranea, in memoria del grande fisico italiano del secolo scorso. Caianiello fu fondatore, fra l’altro, dell’Istituto di Cibernetica del CNR, dell’Istituto Italiano di Alti Studi scientifici (IIASS) e della Società Italiana di Reti Neuroniche (SIREN), presieduta da Morabito dal 2008. Il Premio viene assegnato senza specifica cadenza a personalità scientifiche di rilievo internazionale che hanno svolto ricerca d’eccellenza nell’ambito delle reti neurali a carattere interdisciplinare. La cerimonia di consegna avverrà alle ore 10.00 presso l'Aula magna di Architettura della Mediterranea. Il prof. Rizzolatti, dell'Università di Parma, terrà la lectio magistralis sul tema: Gli altri sono come me? Meccanismi neurali alla base dell'empatia.
Noi del Blog del Benessere Psicologico saremo lì per raccontare l'evento ai nostri lettori.

Dott. Santo Cambareri 
Psicologo - Specializzando in Psicoterapia Sistemico Relazionale

"Memory Training": Grande partecipazione al primo incontro. Venerdì 23 maggio il secondo appuntamento “Quando l’ansia blocca il ricordo”





Si conclude con successo il primo incontro di Memory Training dal titolo “A cosa serve la memoria”.  Gli iscritti, hanno superato di gran lunga il numero atteso. Circa 30, gli anziani reggini che hanno partecipato alle attività, presso la sede  SPI-CGIL e Auser Solidarietà di Reggio Calabria. Sin dalle prime battute, si è riscontrata una vivace collaborazione e partecipazione da parte dei presenti, che hanno risposto attivamente  alle sollecitazioni degli psicologi responsabili del progetto e sono stati ben disposti al lavoro di gruppo. Vivacità, curiosità e partecipazione, hanno accompagnato tutte le attività svolte. Partecipanti e psicologi hanno dato vita a una lezione interattiva, intervallata da attività pratiche utili all’allenamento delle facoltà mnemoniche.  La parte teorica di questo primo incontro è stata incentrata sulla memoria e le sue funzioni, con l’obiettivo di informare i partecipanti sulle modalità di codifica e di recupero delle informazioni, ovvero sui processi attraverso i quali memorizziamo e recuperiamo il ricordo. Tra i temi trattati: la distinzione tra la memoria a breve termine e quella a lungo termine, l’importanza delle emozioni nel mantenimento e nella rievocazione del ricordo, le funzioni implicite della memoria, i comportamenti automatici,  gli aspetti procedurali e la memoria autobiografica. Grazie agli esercizi  pratici proposti dalla Dott.ssa Stefania Petrulli, i partecipanti hanno avuto modo di testare e al contempo allenare la propria memoria a breve termine. I differenti approcci ai compiti assegnati, hanno poi favorito il dibattito sulle diverse strategie utilizzate, contribuendo a innescare un atteggiamento orientato alla motivazione e a migliorare il senso di autoefficacia.
Gli anziani dell’Auser, hanno potuto rivolgere agli psicologi alcuni interrogativi, che sono per loro, motivo di ansia e preoccupazione. Alcuni hanno chiesto espressamente di lavorare insieme sulle strategie di memoria (come faccio a ricordare?) o sulle capacità di concentrazione. In un’ora e trenta di confronto e collaborazione, è stato possibile parlare della memoria e delle sue funzioni (cos’è e a cosa serve), fugare alcuni dubbi relativi alle patologie neurodegenerative e incontrare le esigenze e curiosità degli anziani. “L’entusiasmo riscontrato durante la partecipazione alle attività del corso - dice il Dott. Santo Cambareri – è forse l’aspetto più importante del nostro progetto. Non nascondo di aver avuto un po’ di timore che i temi riguardanti il funzionamento della memoria potessero risultare noiosi per i partecipanti. Timore svanito quasi subito, in quanto la vivacità degli iscritti mi ha positivamente spiazzato e ha favorito l’avvicinamento verso uno degli obiettivi principali dell’iniziativa, ovvero quello di strutturare attività di natura meta-cognitiva al fine di incrementare la fiducia nelle proprie capacità personali. Inclusione sociale e benessere psicologico, passano anche dallo studio e dalla comprensione dei nostri meccanismi mentali, scardinando false credenze e pregiudizi. Conoscere se stessi per migliorare se stessi”.
Concluse le attività, sono state consegnate agli anziani delle schede per l’’autovalutazione delle strategie di memoria utilizzate. “Venerdì 23 maggio (data del secondo incontro) ripartiremo proprio dai questionari – dice la Dott.ssa Stefania Petrulli – discuteremo assieme le risposte date, al fine di potenziare le strategie funzionali o suggerirne di diverse e più efficaci per poi affrontare il delicato tema degli aspetti di natura ansiosa che spesso tendono a bloccare la rievocazione del ricordo o agire negativamente sulla codifica. Il corso – continua la Dott.ssa Petrulli – ha preso avvio dalla necessità riscontrata sul territorio reggino, di sensibilizzare la popolazione anziana sul tema dell’invecchiamento attivo e delle risorse a loro disposizione per fronteggiare alcune difficoltà di memorizzazione e di recupero dell’informazione. Date le premesse piuttosto soddisfacenti, ci auguriamo che dopo questa prima fase sperimentale, ne seguano altre al fine di permettere alla maggior parte della popolazione anziana (e non solo) di godere delle attività di sensibilizzazione e di formazione proposte.

Dott.ssa Moira Casella

"MEMORY TRAINING": GLI ANZIANI SI ALLENANO...A RICORDARE

Prende il via domani, venerdì 16 maggio, la serie di "Incontri di Sostegno alla Memoria - Memory Training". Il progetto è promosso dal Sindacato dei pensionati SPI-CGIL e dall'AUSER Solidarietà, associazione di volontariato attiva a Reggio Calabria dal 1990. AUSER Solidarietà si occupa di problematiche e servizi rivolti agli anziani, attuando progetti in convenzione con Enti locali, Centri Servizi al Volontariato e Asp, attraverso attività finalizzate all'inclusione sociale, al miglioramento del benessere e della qualità della vita, alla socializzazione, al diritto all'informazione e alla formazione e alla promozione del ruolo dell'anziano all'interno della società civile e aderisce alla rete AUSER Nazionale-ONLUS costituita nel 1989 dalla Cgil e dal Sindacato dei pensionati Spi-Cgil.
Ad oggi AUSER conta: oltre 1500 sedi, 300.000 iscritti e 40.000 volontari in tutta Italia. 

L'iniziativa approda in riva allo Stretto, grazie al contributo della Dott. Stefania Petrulli, psicologa specializzanda in Psicoterapia Breve-Strategica e già responsabile del percorso di Memory Training all'interno del progetto di prevenzione "BADA BENE" (2011-2013) promosso dal Comune di Bologna e finalizzato al sostegno alla memoria in soggetti attivi over-65.

Il Memory Training nasce come intervento psicologico di stimolazione cognitiva delle capacità di cui solitamente l'individuo lamenta il cattivo funzionamento e ha tra gli obiettivi quello di stimolare ed attivare in particolar modo la memoria e le funzioni cognitive preposte al processo di memorizzazione: attenzione, ragionamento, capacità di giudizio, categorizzazione, fluenza verbale, associazione di idee, spirito di osservazione.

L'Equipe del Benessere Psicologico, è tra i promotori dell'iniziativa, sarà infatti il Dott. Santo Cambareri, psicologo specializzando in Psicoterapia Sistemico-Relazionale e co-fondatore del nostro Blog, ad occuparsi delle attività riguardanti il ruolo di ansia e stress sul decadimento e sul recupero delle informazioni acquisite e l'importanza del pensiero creativo per mettere a punto strategie efficaci a sostenere la memoria.


I PARTNER 

 
Tra i partner, anche l'associazione ESN Rhegium - Erasmus Student Network che ha deciso di sostenere l'iniziativa in occasione della settimana "Social Erasmus", progetto internazionale che ha l'obiettivo di coinvolgere gli studenti "exchange" in attività di volontariato e integrazione sociale durante la loro permanenza nel paese ospitante.





Il Blog del Benessere Psicologico seguirà "passo passo" gli incontri, stilando un vero e proprio "diario di bordo" del corso e dando la possibilità ai partecipanti di comunicare idee, impressioni e pareri sull'iniziativa.

Le attività si svolgeranno presso la sede SPI/CGIL e AUSER Solidarietà di Via Veneto, n.51- Reggio Calabria, per la durata di quattro incontri, tutti i venerdì dalle 16:30 alle 18:00.



Dott.ssa Moira Casella


SPONSOR E SOSTENITORI



LUDOPATIA: DAL TAVOLO DA GIOCO AL TAVOLO DELLA VITA!



Il gioco d’azzardo (dall’arabo "az-zahr" che significa “dadi”) è un fenomeno sociale in forte crescita e solo dopo gli anni ’50 in Italia inizia ad essere osservato da un punto di vista clinico come “possibile malattia” e non semplicemente un vizio, come si pensava fino ad allora. La storia del gioco d'azzardo è strettamente legata alla storia dell'uomo, tanto che le prime testimonianze di questa attività si riscontrano addirittura nel 3000-4000 a.C., infatti, Socrate e Platone giocavano a dadi. Tuttavia, è solo nel 1980 che l’Associazione degli Psichiatri Americani (APA) ha riconosciuto il gioco d’azzardo come una malattia mentale e l’ha inserito tra i disturbi degli impulsi.
Il gioco ha di per sé una funzione positiva, divertente e gratificante che permette al bambino di apprendere e all'adulto di staccare dal lavoro e dalla routine. Ma nel caso del gioco d’azzardo si può arrivare ad una perdita del controllo degli impulsi, ad un totale coinvolgimento nel gioco e nella ricerca del denaro e allo sviluppo di una vera e propria dipendenza, in quanto lo stato di euforia e di eccitazione del giocatore d’azzardo durante il gioco è paragonabile a quello prodotto dall'assunzione di droghe. In caso di impossibilità di accedere al gioco possono manifestarsi, nei giocatori, delle crisi di astinenza: ansia, sudorazione, nausea, vomito e tachicardia.
Il GDA coinvolge vari aspetti della persona, da quello cognitivo (prendere delle decisioni) a quello emotivo, come la speranza di vincere o la paura di perdere e il brivido del rischio.

Cause
È un fenomeno difficile da classificare perché è causato da diversi fattori ed è legale e legittimato nella nostra Nazione, per cui è difficile comprendere dove finisce il gioco “normale” ed inizia quello “patologico”.
Nella letteratura, sono stati individuati diversi fattori neurobiologici, caratteriali, ma anche familiari e sociali che concorrono nello sviluppo e mantenimento del disturbo.
Innanzitutto, i fattori cognitivi, che svolgono un ruolo decisivo sono: le false credenze, le superstizioni, il fenomeno dell’ottimismo irrealistico (un fenomeno che spinge le persone a credere che un evento molto raro abbia più probabilità di accadere a loro piuttosto che agli altri - Harris, 1995), l’attribuzione di causa agli eventi (locus of control), il decision making. Secondo la teoria cognitiva la causa principale che rende un giocatore sociale in un giocatore patologico è il desiderio di un guadagno economico, a questa motivazione si aggiunge la concezione erronea che il soggetto ha del caso. Entrambi i fattori sono supportati  dagli slogan del monopolio (ad es. “Vincere Facile” per i gratta e vinci). Il desiderio di “controllare l’incontrollabile” (la fortuna) è, secondo Sarchielli (1997), una delle cause che spingono il soggetto a giocare d’azzardo.

Uno studio di Wood e  Griffiths (2007) ha evidenziato i fattori emotivi dello sviluppo e mantenimento del disturbo e, per molti dei soggetti intervistati, il gioco rappresenta una via di fuga dalla realtà o da emozioni negative attraverso una modificazione dello stato di coscienza o dell’umore. È come se il giocatore riempisse un vuoto, il brivido del rischio lo fa sentire vivo.
I giocatori compulsivi provengono spesso da famiglie in cui i genitori sono stati alcolisti, giocatori a loro volta o hanno sofferto di problemi emotivi per cui sono stati incapaci di dare al figlio le cure adeguate e quella “sintonizzazione affettiva” importante per lo sviluppo di un’adeguata competenza e regolazione emotiva.

La personalità del giocatore
Personalità insicure, immature e con bassa autostima sarebbero più vulnerabili allo sviluppo del GAP, fondamentali sono anche la disponibilità di denaro e l’accettazione, da parte del gruppo sociale di appartenenza, del gioco. I giocatori sono alla continua ricerca di sensazioni forti e stimolanti (definita sensation seeking da Zuckerman 1983).
Da una ricerca fatta a Messina nel  2011 è emerso che i giocatori d’azzardo sarebbero superstiziosi, impulsivi e inguaribili ottimisti (Foti e Fabio, in via di pubblicazione).
Il gioco d’azzardo si manifesta attraverso la perdita del controllo dell’impulso. Essere impulsivi è una delle caratteristiche di personalità del giocatore d’azzardo che cerca la gratificazione immediata e non riesce a rimandarla nel tempo. In quest’ottica, è possibile constatare se ci sono deficit nella capacità di prendere decisioni.
Il decision making è un processo di ragionamento che porta a prendere una decisione escludendo alcune opzioni a favore di una che dovrebbe essere la più vantaggiosa per se stessi. Essere impulsivi, potrebbe derivare dall'incapacità dell’individuo di prendere decisioni. All'interno di questa procedura cognitiva esercita un ruolo importante il locus of control.
Il locus of control è quel costrutto psicologico che indica se un soggetto attribuisce le cause di un successo o un di fallimento a variabili interne e controllabili oppure a variabili esterne ed incontrollabili, come il fato o la fortuna.  In generale, il giocatore d'azzardo può attribuire il successo a fattori interni come l’ abilità e la bravura, e attribuire le perdite a fattori al di là del  loro controllo come la sfortuna (Gilovich, 1983; Griffiths, 1990).  Ma è stato riscontrato che i giocatori dipendenti che giocano con le slot machine (Carroll & Huxley, 1994) attribuiscono erroneamente le vittorie o le perdite alle proprie capacità (Griffiths, 1993; Ladouceur, 1995). Ciò va a minare molto l’autostima.
Il giocatore patologico è così assorbito dal gioco da impiegare molto del proprio tempo pensando alle scommesse fatte in passato e pianificando nuove scommesse e strategie per trovare il denaro. Incrementa  progressivamente l'ammontare delle scommesse, non riesce a sopportare le perdite, è sempre meno coinvolto nelle vita familiare. Tale atteggiamento li porta ad essere aggressivi e isolati rispetto il mondo esterno compromettendo e danneggiando così le loro relazioni personali, matrimoniali, familiari e lavorative. Quando le possibilità di ottenere prestiti sono esaurite, il soggetto può ricorrere a comportamenti antisociali, come il furto, per ottenere denaro. Inoltre, alcuni studi hanno mostrato correlazioni positive tra gioco d'azzardo e abuso di sostanze stupefacenti ed alcol tra gli adulti (Wallisch, 1993)

I vari tipi di giocatori
Il giocatore sociale è colui che scommette in modo occasionale o abituale, può interrompere il gioco quando desidera e fa maggiore affidamento sulla realtà piuttosto che al senso di onnipotenza, cosa che gli permette di capire quando è il momento di smettere. Si possono differenziare tre tipologie di giocatori sociali (Lavanco &Varveri, 2001) in base alla percezione che il soggetto ha del gioco come dominato più dall'abilità che dalla fortuna:
·  Il giocatore che crede di poter vincere perché confida esclusivamente sull’abilità nell’indovinare un pronostico.
·        Il giocatore che tende verso la componente aleatoria e si affida alla fortuna.
·        Il giocatore che cerca un equilibrio tra abilità e fortuna.
Per queste persone il gioco non interferisce nella routine quotidiana e rappresenta una ricerca momentanea di un’ esperienza appagante che differisce dal consueto modo di vivere. In base alla frequenza del gioco questa categoria è suddivisibile in giocatori abituali e quelli occasionali.  Rientrano nella categoria del giocatore sociale anche coloro che traggono dal gioco il loro sostentamento economico.
I giocatori problematici non riescono ad avere l’intero controllo sul gioco, quest’ultimo interferisce con la vita quotidiana e incomincia a danneggiarla. Le giocate diventano più frequenti e aumenta la quantità di denaro investita in tale attività. Il gioco d’azzardo al contrario, spinge a giocare continuamente e senza fermarsi fino a quando non si perde quello che si ha e si iniziano a fare grossi debiti.
Diverse fasi portano allo sviluppo del giocatore patologico. Raramente una persona diventa giocatore d’azzardo al primo incontro con il gioco, è un percorso insidioso e lungo. un individuo può praticare anni di gioco d’azzardo socialmente accettato per poi divenire un giocatore compulsivo in seguito a una particolare situazione o a un fattore  stressante.

Dalla fase vincente, che dura generalmente dai tre ai cinque anni, i giocatori vincono più spesso di quanto perdano. Queste vincite  rinforzano nel giocatore la convinzione di essere più abile degli altri. Questa situazione li porta ad investire sempre più tempo e più denaro nel gioco, e da questo momento in poi incominciano a perdere.
La fase perdente, dura mediamente oltre cinque anni. Il giocatore spende sempre più tempo e più denaro nel gioco. Quando incomincia a perdere, attribuisce la colpa ad un periodo di scarsa fortuna. Subentra in questa fase “l’inseguimento della perdita”: il giocatore torna spesso a giocare nel tentativo di recuperare il denaro perduto precedentemente, possibilmente tutto in una volta. A causa del pressante bisogno di denaro con cui giocare, il giocatore chiede  prestiti, ed incominciano le bugie che servono per continuare a mantenere l’immagine di giocatore fortunato.
In questa fase, la fase della disperazione, il giocatore ha totalmente perso il controllo. Ha bisogno di giocare per alleviare le pene, per lo più causate dal gioco stesso, e continua a giocare benché sappia che continuerà a perdere. Le menzogne sono anch’esse fuori del suo controllo: quando gli altri non credono alle sue bugie, diventa aggressivo e li accusa di essere la causa del suo problema. In questo periodo possono fare la loro comparsa attività illegali da parte del giocatore.
La fase della sofferenza è caratterizzata dalle conseguenze degli investimenti del giocatore che, spesso, si riversano sui suoi familiari (es. debiti con la banca o con gli strozzini, pignoramento della casa).

Il ruolo del coniuge non giocatore
Ovviamente, il giocatore continua nella sua attività, e le sofferenze patite dal coniuge si allargano, ma, a causa di un mal riposto senso dell’orgoglio, non vuole che parenti ed amici vengano a conoscenza della loro disperata situazione ed il suo intervento si limita a chiedere al coniuge di smettere di giocare. Subentra la paura di rispondere al telefono, nel timore che possa trattarsi di creditori o, peggio ancora, di parenti che richiedono la restituzione di un debito. La vita familiare precipita in una spirale di cui è impossibile vedere la fine; il coniuge non giocatore si convince con sempre maggiore frequenza che la colpa della situazione sia sua, sviluppando ansia e depressione. Da parte sua, il giocatore persiste nel suo comportamento, e riesce ancora a mostrarsi come una persona in possesso del totale controllo sulla sua attività di gioco. Ritiene che le bugie siano credute, ed aumenta l’intolleranza verso coloro che non soddisfano le sue attese. Esteriormente, incolpa tutti tranne se stesso per la situazione nella quale si trova. Internamente, invece, è in una situazione di estrema angoscia. Il suo desiderio di autopunirsi lo porta a pensare di farla finita: pensa spesso all’autodistruzione e molto più spesso di quanto si pensi arriva al suicidio.
La mancanza di informazioni sulla patologia,  uniti ad un senso di orgoglio, impediscono al coniuge di capire che deve reagire. Devono succedere episodi traumatici quali un arresto del giocatore o un tentativo di suicidio perché il coniuge dia un ultimatum al suo partner oppure lo abbandoni. La maggior parte dei giocatori (in particolare quelli di sesso maschile) accetta di intraprendere una terapia solo dopo avere ottenuto un ultimatum dal coniuge e dopo avere esaurito tutte le possibili fonti di denaro per giocare.
Quando il disagio, del giocatore e della famiglia, viene reso manifesto da un arresto o da un tentato suicidio scatta la fase critica. Il giocatore allora richiede aiuto.

Differenze di genere
In passato il gioco si è qualificato come un attività prevalentemente maschile; oggi, pur essendo prevalente la presenza di GDA uomini il numero di giocatrici è in aumento. Le cause sono molteplici: la crescente accettazione sociale, legittimazione e incentivazione al gioco, nonché nei cambiamenti dello stile di vita. Esistono però delle sostanziali differenza tra donne giocatrici e uomini. Le donne prediligono i giochi cosiddetti "di fuga", cioè video-poker, slot-machine, bingo (tombola), lotto e simili. Alla base di ciò, ci sono motivazioni diverse che le portano a giocare. L'andare a giocare permette loro di spezzare la monotonia quotidiana, evadere e divertirsi un po'. Ovviamente tutto ciò porta ad uno sviluppo diverso della malattia. La malattia compare prima, in poco tempo la donna giocatrice si ritrova sempre più spesso sola davanti alla sua macchina preferita, nel luogo dove si sente a suo agio.
La disperazione porta però le donne a cercare aiuto molto prima dei compagni uomini e benché abbiano un marcato senso di vergogna e di colpa e un coniuge che il più delle volte non è disposto a partecipare al programma di ricovero, hanno più probabilità di recupero. In una ricerca condotta dal National Research Council (1999) in Canada sono state individuate altre due importanti differenze. In primo luogo, la tipologia di gioco praticato degli uomini (scommesse, biliardo, dadi, golf, investimenti speculativi, giochi di carte, casinò), mentre le donne preferiscono il gioco del bingo. In secondo luogo, sono differenti anche le ragioni per cui un uomo o una donna iniziano a giocare. Le donne giocano per supportare una causa, per distrarsi dai problemi quotidiani, gli uomini giocano per il brivido e per la sfida. L’età in cui i soggetti iniziano a giocare differisce dal genere. I maschi, secondo una ricerca del New Zealand Gaming Survey (Abbott, 2001), iniziano a giocare dai 15 ai 29 anni. Le donne in maggiore età. Hraba and Lee (1996) afferma che la differenza tra i sessi dipende, per le donne,  dall’affiliazione alla religione, dal fatto di essere sposate e di essere bene integrate nella società. I giocatori d’azzardo uomo e donna hanno diverse caratteristiche in comune tra queste, l’abuso di sostanze e il suicidio.

Interventi
Aiutare il giocatore a superare quel meccanismo di difesa di cui ha fatto gran uso negli ultimi tempi: il diniego. Dal diniego nasce la sua distorta percezione della realtà che lo porta a ritenere che il problema da risolvere sia rappresentato dai debiti e non dal gioco. Bisogna quindi spostare il problema dalla crisi economica al comportamento e modificare le diverse distorsioni cognitive che ha instaurato negli anni. Successivamente è necessario far emergere in lui un sentimento di speranza che gli permetterà di trovare la voglia di riprogettare un futuro senza gioco. A questo proposito sono di grande aiuto i gruppi d'auto aiuto (Giocatori Anonimi). E' chiaro che entrare in trattamento significa smettere di giocare, non c’è però generalmente un abbandono drastico e definitivo. E' bene mettere in conto alcune ricadute, soprattutto all’inizio, che possono avere un risvolto positivo in quanto ripropongono l'impotenza di fronte al gioco, che l'eccessiva sicurezza aveva offuscato. Pian piano il giocatore ricostruisce la sua vita a partire dai rapporti con se stesso e con i propri familiari. I problemi finanziari appaiono risolvibili così come quelli in casa. Alla base di tutto ciò c'è il grosso lavoro tra lo psicoterapeuta e il giocatore che ha permesso a questo ultimo di prendere coscienza dei propri limiti, ma anche delle sue reali possibilità, di risalire attraverso il processo introspettivo ai propri bisogni, alle proprie debolezze, ai propri desideri, così da formare la coscienza critica che gli consentirà di fissare degli obiettivi a lungo termine raggiungibili. II giocatore impara inoltre ad organizzare il suo tempo in modo tale che il gioco non faccia parte della sua vita.

Dott.ssa Moira Casella