A volte derubati, a volte ladri dei desideri altrui, ma ora lasciamo che il Ragioniere riposi in pace...

Non me l'aspettavo, eppure credo proprio sia successo. Quando per la prima volta vidi la scena di "Fantozzi Il Ritorno", in cui il malcapitato ragioniere si trova in paradiso a contemplare la "luce" per tutta l'eternità, unico, tra milioni di anime, con davanti una colonna che lo costringe a piegarsi per avere una visione completa, mai mi sarei aspettato che questo evento si sarebbe potuto verificare davvero.
Se n'è andato Paolo Villaggio, ma con lui non va via il suo personaggio più conosciuto, rimane nella nostra mente, nelle nostre riflessioni, addirittura nella nostra lingua, soprattutto nei nostri cuori e fin qui nulla di male; quello che mi sconvolge però, è che, anche adesso, al Rag. Ugo Fantozzi    "matricolamilleunobarrabis", non sia consentito riposare in pace.
Immenso Paolo Villaggio, altrettanto immenso il personaggio Fantozzi; troppo grandi insomma per non solleticare la curiosità del giornalista, dell'opinionista, dell'intervistatore che si chiede e chiede ai nostri politici "Cosa avrebbe votato Fantozzi oggi?" Superficiale e troppo scontata, a mio avviso, la risposta dei più. Qualche esempio? "Avrebbe votato per il potente di turno" (Toti) o ancora "Di sicuro non avrebbe votato per noi" (Grillo).

Sobbalzo davanti alla tv e di colpo mi torna in mente "Fantozzi Subisce Ancora", dove il  nostro Ugo si dà malato al lavoro (forse per la prima e unica volta) e per una settimana si barrica in casa a nutrirsi di editoriali e tribune politiche; alla moglie raccomanda di non essere disturbato per nessun motivo, questa volta non si può permettere di "sbagliare" il voto. Arriva il giorno delle elezioni e per Fantozzi, come per magia, la cabina elettorale si trasforma in un cesso chimico. Quando il presidente di seggio, insospettito dal troppo tempo trascorso, si avvicina e bussa, Ugo risponde "Occupato"  e alla domanda "Cosa sta facendo?" la risposta è chiara "Sto votando" ma con la voce tipica di chi sta espletando un bisogno fisiologico.
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Qualcosa non torna. Il ragionier Ugo non esce di casa per ascoltare le diverse posizioni degli esponenti di partito, non dimostra (almeno inizialmente) disaffezione alla politica, non si ferma a un monolitico credo o a un'ideologia incrollabile, ma è aperto (forse troppo) ai programmi proposti, non vota seguendo le indicazioni del megapresidente di turno, si aggrappa con tutte le sue forze al voto, studiando come se dovesse sostenere un esame, ne fa una questione di vita o di morte, non può permettersi di sbagliare, non si può permettere di rimanere deluso (o fottuto fate voi) anche stavolta;  entra addirittura in uno stato allucinatorio, più vero di qualsiasi stato di piena coscienza, in cui la classe politica si rivolge direttamente, anzi personalmente, all'elettore, mantenendo la propria identità, ma abbandonando al contempo il politichese, svelando interessi e affezione al potere più che ai diritti dei cittadini. E così, al culmine di un'indigestione da tribuna politica, Fantozzi, il giorno del voto, non può far altro che abbandonarsi finalmente a quel bisogno, fisiologico e soprattutto liberatorio, leggermente diverso dal votare per il ducetto di turno!
Eppure di ducetti attorno a sè Fantozzi ne aveva a bizzeffe.

Mi torna in mente la famosa scena della Corazzata Potemkin (Kotiomnkin in fantozziano) e tutto quello che prima dello sfogo del nostro Ragionier Ugo, nel film, caratterizzava quella sera.
La "frittatona di cipolle e la familiare di Peroni gelata" che restano lì sul tavolino, assieme a quel mitologico match Inghilterra-Italia, purtroppo non goduto, per soddisfare i bisogni del capoufficio, l'intellettuoloide del caso, che costringe i suoi dipendenti a rinunciare a una passione, sostituendola con un film cecoslovacco (ma con sottotitoli in tedesco) sostituendo i bisogni altrui con i propri.
Mi tornano in mente tutti i capoufficio di Fantozzi con le loro passioni per il ciclismo, per l'atletica leggera, per il biliardo e chi più ne ha più ne metta, tutti pronti a sostituire ai bisogni altrui, i propri, più o meno consapevolmente...
E oggi? Direi che oggi a essere "crocifissi in sala mensa" siamo in molti. 

Dalla politica al marketing (che purtroppo ad oggi sembrano due ambiti troppo vicini, quasi assimilabili), tutti a dirci di cosa abbiamo bisogno, tutti ad affannarsi a ripetere: "Gli italiani vogliono sentire parlare di questo o di quello...agli italiani interessa questo e non quello".
Tutti a sapere cosa vogliono i cittadini, cosa chiede la gente, tutti con la verità in tasca. Ma la verità di chi?

Scriveva William James:  "Se fosse realizzabile non ci sarebbe pena più diabolica di quella di concedere a un individuo la libertà assoluta dei suoi atti in una società in cui nessuno si accorga mai di lui" . Una rappresentazione iperbolica della realtà, che fa cogliere al volo il corollario patologico che può agire soprattutto sul II assioma della comunicazione umana "Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è "metacamunicazione". 

Nella comunicazione infatti noi non offriamo solo il contenuto (serie di dati informativi) ma definiamo anche il tipo di relazione che intendiamo istituire con il nostro interlocutore, relazione all'interno della quale questi stessi dati trovano la loro giusta collocazione e possono venir correttamente intesi. Questa comunicazione sulla comunicazione è detta metacomunicazione ed è rilevante nell'efficacia degli scambi. 

Come spiega il saggista Paolo Borsoni (1989) riprendendo G. Bateson, R. Laing e P. Watzlawick, i messaggi che un soggetto esprime per autodefinirsi possono essere accolti in modi variegati dall'interlocutore e dagli interlocutori. 

Alla complessa sequenza comunicativa che esprime il concetto “Ecco chi sono e come mi vedo” si può rispondere con una conferma, che rafforza la stabilità psicologica di chi ha espresso quel giudizio su se stesso. E il desiderio di venire confermati è un fatto essenziale nella vita di ogni essere umano.

La conferma può avvenire mediante un sorriso (comunicazione visuale), una stretta di mano (comunicazione tattile), una manifestazione di simpatia (comunicazione verbale); il punto essenziale è che essa costituisce una risposta rilevante nei confronti dell’azione che l’ha determinata, essa cioè riconosce l’atto iniziale che l’ha provocata. Il soggetto che pone in essere la risposta si colloca sulla stessa linea, sullo stesso piano, in sintonia con il soggetto che ha compiuto l’azione e la definizione di sé.

Un'altra modalità di risposta, in pragmatica della comunicazione, prevede invece la negazione o rifiuto, è il caso specifico in cui alla sequenza comunicativa con cui un individuo esprime il concetto “Ecco chi sono. Ecco come mi vedo” l'interlocutore contrappone una visione diversa, che può negare qualche aspetto della definizione proposta o addirittura criticare in toto quella definizione contrapponendone un’altra. 

E fin qui rimaniamo nell'ambito della comunicazione funzionale, ma cosa succede quando la comunicazione diventa patologica? 

Una terza categoria, che sostanzia una comunicazione disfunzionale, è caratterizzata dalla disconferma. 

Con la disconferma si esprime qualcosa di molto più sottile e profondo di una semplice negazione o di una definizione diversa. Questo tipo di comunicazione non prende in considerazione direttamente la definizione data dall’altro, non parla cioè della verità o della discutibilità di certe parti della comunicazione dell’altro, piuttosto nega in sostanza l’altro. Mentre una replica esplicita “Hai torto” se non altro è chiara e apre in teoria un confronto su fatti concreti, la disconferma esprime implicitamente il messaggio: “Tu non esisti come entità autonoma, indipendente, capace di formulare giudizi su te stesso e su qualsiasi altro”. In sostanza: "Tu non hai significato".

Bisogna considerare però che, come la conferma totale di un individuo da parte di un altro individuo, rappresenta una possibilità ideale, così il fenomeno della disconferma ha raramente caratteristiche pure, presentandosi di solito con caratteristiche leggermente diverse da quelle previste dalla sua formulazione teorica.

"Si può ritenere che le azioni individuali e le varie fasi dell'interazione , abbiano sempre, in misura maggiore o minore, secondo differenti modalità, carattere confirmatorio o disconfirmatorio. Il problema è dunque di intensità e estensione; di qualità e quantità." (Laing R., 1961) 

In effetti, come sottolineano C. Loriedo e A. Picardi  (2000) una disconferma ontologica, che preveda la totale negazione dell'esistenza stessa del mittente da parte del ricevente e corrispondente al messaggio "Tu non esisti" è piuttosto rara.

In effetti in letteratura il concetto di disconferma, ha assunto un'accezione più ampia che prevede tutti gli scambi comunicativi in cui il ricevente, pur non negando l'esistenza fisica del mittente, trascura completamente come questi agisca, quali emozioni provi, quali capacità fisiche o intellettuali possieda, che senso dia alla propria situazione. L'ampliamento del concetto di disconferma presenta notevoli punti di contatto con il concetto di mistificazione teorizzato da Laing (1965) ovvero l'attribuzione all'interlocutore di desideri, bisogni, stati d'animo che in realtà non ha mai espresso.

A voi non succede mai? Ne siete proprio sicuri? E che dire di tutte le volte che ci propinano uno spot con il prodotto "migliore" per le "nostre" esigenze o di tutte le volte che anzichè domandare all'amico, al partner, al familiare come si sente, preferiamo definirne noi i sentimenti, elaborando giudizi perentori sul percepito altrui che, se reiterati, finiscono per offuscare e sostituire i bisogni del nostro interlocutore con i nostri bisogni...  
 
Ok forse siamo immersi in un'epoca più fantozziana di quanto pensiamo.

Stiamo lì a farci mettere in testa bisogni non nostri e mettere in testa agli altri esigenze che in realtà sono solo nostre, a volte Fantozzi a volte Duca Conte Gran Figl. Di Putt. ecc. ecc., a seconda dei casi.

D'altronde disconferma e mistificazione sono parte della comunicazione umana e come la gran parte dei comportamenti umani è importante che vengano riconosciute, studiate, magari anche accettate finchè non diventano nocive per l'essere umano stesso.

E allora, almeno adesso che il Rag. Fantozzi possiamo immaginarlo davvero in paradiso, lasciamo che riposi in pace, non constringiamolo a contemplare la "luce" con una colonna davanti, non utilizziamone il messaggio per continuare l'opera di mistificazione che il suo personaggio ha denunciato per anni, riconosciamoci più umani e lavoriamo per definire meglio noi stessi proprio perchè Fantozzi ci ha insegnato che "definire" i bisogni degli altri è fin troppo facile...


Santo Cambareri