I 40 anni della "Sindrome di Stoccolma"

di Santo Cambareri


Era il 23 agosto del 1973 quando Jan-Erik Olsson e Clark Olofsson presero in ostaggio quattro donne durante una rapina in banca. 131 ore la durata del rapimento che mise sotto scacco le forze di polizia tenendo col fiato sospeso tutti gli svedesi che seguivano le vicissitudini di ostaggi e rapitori attraverso i media. Quello della rapina alla "Sveriges Kredit Bank" fu il primo caso in cui delle persone sequestrate furono sottoposte a un intervento psicologico. Nel corso delle sedute le donne rapite riferirono di nutrire sentimenti positivi nei confronti dei propri carcerieri (una delle caratteristiche principali della sindrome) che, a quanto detto, "avevano ridato loro la vita". La "Sindrome di Stoccolma" viene infatti definita come un processo psicologico inconscio che promuove relazioni inverosimili tra vittime di sequestro e rapitori e coinvolge sia gli ostaggi che i sequestratori.

La reciprocità, rappresenta il secondo aspetto distintivo della sindrome. Olsson (oggi 72enne) descrive così il suo rapporto con le donne in ostaggio "...Mi erano sempre più o meno vicine, praticamente mi proteggevano e così la polizia non poteva spararmi. Anche quando andavano in bagno, dove la polizia sarebbe potuta intervenire per salvarle, alla fine tornavano sempre". A completare il quadro della "Sindrome di Stoccolma" , il cui nome venne coniato dallo psicologo e criminologo Nils Bejerot, vi è inoltre l'avversione, da parte delle vittime di sequestro, nei confronti delle autorità. Nonostante si possa pensare che alla base di tale comportamento ci sia la scelta cosciente di "farsi amico il sequestratore" per preservare la propria incolumità, diverse ricerche hanno messo in luce come alla base di questo legame paradossale vi sia una reazione inconscia e automatica come se involontariamente prendesse corpo il concetto di un "NOI qui dentro contro un LORO che stanno fuori". A connotare la distanza da una scelta conscia e basata sull'interesse personale, contribuiscono anche i casi celebri come ad esempio quello di Giovanna Amati, rapita nel febbraio del '78 e invaghitasi di uno dei suoi carcerieri, Daniel Neto membro del "clan dei marsigliesi" o il caso di Patty Hearst, ricca ereditiera rapita dall'Esercito di Liberazione Simbionese al quale si unì dopo il periodo di prigionia cambiando il suo nome in Tania stesso pseudonimo usato da Haydé Tamara Bunke Bider, tedesca naturalizzata argentina che, col nome in codice di "Tania la Guerrigliera", prese parte alla rivoluzione cubana. In questo senso quindi non ci si può limitare a spiegare il fenomeno attraverso meccanismi coscienti, bisogna piuttosto ricercarne le cause nei meccanismi di adattamento all'ambiente.

 Come messo in luce dallo studioso di strategia militare, l'israeliano Azar Gat, nelle popolazioni preistoriche erano abbastanza frequenti rapimenti, violenze, stupri e omicidi, durante le battaglie per la conquista di un'altra tribù. In tali circostanze le donne sopravvissute avrebbero avuto minori probabilità di essere uccise e di vedere sterminata la propria prole, accettando di buon grado lo stato di assoggettamento. Il carattere fortemente adattivo (nell'accezione propria della selezione naturale) potrebbe quindi aver contribuito a rendere universale, all'interno della specie, il comportamento di capture-bonding (letteralmente: legame di cattura). In tal senso una parziale attivazione del comportamento capture-bonding potrebbe essere rintracciata nella formazione militare, nei fenomeni di "nonnismo" o ancora nelle pratiche sessuali come il sadismo/masochismo.

 Analizzando gli aspetti più prettamente psicologici, nel quadro della sindrome, sembrano attivarsi i meccanismi di difesa teorizzati dalla psicologia dinamica, attraverso i quali il nostro EGO tenta di fronteggiare le situazioni di stress o le idee insopportabili e dolorose. Nello specifico a farla da padrone sarebbero la "regressione" ovvero il ritorno a un livello di maturità inferiore e l'"identificazione" (in questo caso proprio con l'aggressore). Così il rapitore si trasforma in una sorta di "eroe positivo", unico punto di riferimento durante la prigionia. Inoltre, dal punto di vista del carceriere, gli ostaggi rappresentano l'unico strumento per far valere le proprie richieste (ne è quindi indispensabile la "cura") e sono al contempo l'unica fonte di difesa nei confronti dell'autorità. Prende corpo quindi un'empatia reciproca, rinforzata dal protrarsi delle indispensabili trattative e da eventuali fasi di stallo.

Se la paternità del nome è da attribuire a Bejerot (che per primo parlò di "Sindrome di Stoccolma" durante uno speciale tv dedicato all'avvenimento di cronaca) fu lo psichiatra americano Frank Ochberg, redattore del primo testo sul trattamento del Disturbo Post-traumatico da Stress, a studiare ed approfondire le fasi e le caratteristiche della sindrome. Dal punto di vista clinico, infatti, la Sindrome di Stoccolma rientra a pieno titolo nella famiglia dei disturbi post-traumatici da stress di cui l'incidenza maggiore è riscontrata nei casi di gravi eventi naturali, guerre, attentati terroristici. Come spiega Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria, "I dati neurobiologici in nostro possesso rivelano un particolare coinvolgimento dell'amigdala, parte del cervello che gestisce le emozioni e soprattutto le reazioni di paura a cui si associa un meccanismo neurochimico di attivazione di specifici polipeptidi a livello dell'ipofisi, caratteristiche comuni a tutti i disordini post-traumatici da stress, inclusa la Sindrome di Stoccolma". Per quanto riguarda il percorso di recupero, Mencacci sottolinea che in fase preliminare appare necessaria la "messa in sicurezza della vittima" allontanandola dall'oggetto della sua ossessione, successivamente occorre "affrontare con trattamenti medici opportuni le prime manifestazioni del distacco: flashback, insonnia, altri sintomi fisici". In fase di riabilitazione si può ricorrere alla terapia cognitiva, integrata dalla tecnica EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) basata su un processo neurofisiologico naturale legato all'elaborazione accelerata dell'informazione.
Come spiegato sul sito dell'Associazione per l'EMDR in Italia, questa tecnica vede la patologia come informazione immagazzinata in modo non funzionale e si basa sull'ipotesi che ci sia una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico. L'EMDR mira quindi a ristabilire l'equilibrio eccitatorio/inibitorio necessario per l'elaborazione dell'informazione. I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l'immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano la rielaborazione dell'informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti, quasi come uno "scongelamento" dalla forma ansiogena originale in cui è stata vissuta e immagazzinata l'informazione.

Uscendo per un attimo dal solco ben delineato della psicopatologia, ci sembra opportuno considerare gli aspetti socio-situazionali che caratterizzano sequestri o prese di ostaggi e in particolar modo le reazioni di empatia delle vittime nei confronti dell'aggressore.

 "Mi è stata data la scelta di essere rilasciata in una zona sicura o di unirmi all'Esercito di Liberazione Simbionese per la mia libertà e la libertà di tutti i popoli oppressi. Ho scelto di restare e lottare".

Sono queste le parole di Patty Hearst fatte recapitare alla famiglia della donna in un nastro registrato. Precedentemente, era stata evasa l'insolita richiesta di riscatto dei rapitori: 2 milioni di dollari da distribuire tra tutti i bisognosi che si trovavano nelle strade della California, era il programma "People of Need".

Parole emblematiche sono anche quelle pronunciate dal cantautore Fabrizio De Andrè, rapito insieme all'artista e compagna Dori Ghezzi il 27 agosto 1979

"Noi ne siamo venuti fuori mentre loro (rivolgendosi ai sequestratori) non potranno farlo mai".

Oltre a perdonare i suoi carcerieri, De Andrè trasformò in arte l'esperienza vissuta, dando vita a brani che mettevano in luce l'oppressione della gente sarda in un parallelismo con il popolo dei pellirossa.
Così il luogo di prigionia diventa, nei versi dell'autore, l'"Hotel Supramonte".

Allo stesso modo vagando tra sentimenti ed emozioni contrastanti, non può non saltare alla mente il film
John Q in cui Nick Cassavetes fa vestire a Denzel Washington i panni di un padre disperato che risponde al classismo del sistema sanitario statunitense ponendo in essere una presa d'ostaggi all'interno del pronto soccorso di un ospedale.

Parole, fatti e storie romanzate che mettono alla prova il giudizio morale, ma che fungono da trampolino per interessanti e dovute riflessioni sulle variabili di natura sistemico-sociale che interessano il fenomeno. "Sindrome di Stoccolma", manifestazione di empatia per delle giuste cause espresse nel modo più sbagliato possibile o entrambe le cose?