PSICOLOGIA E INSEGNAMENTO: alleati vincenti nella pratica educativa


Il lavoro del docente è quello di insegnare ovvero di imprimere un segno: definizione, questa, tanto scarna quanto ricca di significato. L’azione dell’insegnante è, appunto, quella di tracciare le giuste indicazioni affinché i suoi alunni possano imparare significativamente.
Insegnare, dunque, non è semplicemente trasmettere nozioni. In questo caso l’alunno più che protagonista sarebbe uno spettatore passivo, con l’unico compito di assorbire il più possibile quanto trasmesso dal professore, senza opportunità di intervento e tantomeno di autonomia. Del resto fu proprio questo il modello pedagogico maggiormente diffuso nei sistemi educativi occidentali, almeno fino al XX secolo, quando venne messo in crisi sia dalla massificazione dell’istruzione sia dalle scienze psicologiche -e le relative ricerche in campo cognitivo- che si andavano sviluppando.

L'apprendimento significativo

Uno dei contributi psicologici più rilevanti nell'ambito delle dinamiche educative, viene dalle teorie di matrice cognitivista. David Paul Ausubel, psicologo statunitense seguace di Jean Piaget, sviluppò nel 1960 la teoria degli "organizzatori avanzati" introducendo, nell'ambito delle scienze cognitive e della didattica delle discipline scientifiche, il concetto di "apprendimento significativo". Per Asusbel l'apprendimento significativo è il processo attraverso il quale le nuove informazioni entrano in relazione con i concetti preesistenti all'interno della struttura cognitiva della persona, le cosiddette "preconoscenze". Se le nuove nozioni vengono correttamente connesse a quelle già possedute, le prime acquistano per il soggetto un valore ed un significato del tutto personali dando vita ad un apprendimento efficace e, appunto, significativo. Secondo la teoria di Ausubel, quindi, la quantità di informazioni ricordate dipenderebbe principlamente dal loro grado di significatività. Il progredire degli studi nell'ambito delle neuroscienze confermano, anche a livello fisiologico, le intuizioni di Ausubel. Ad oggi infatti, conosciamo bene la capacità del nostro sistema nervoso di instaurare nuove relazioni interneuronali (sinapsi). Quella che comunemente viene definita esperienza, ha quindi un correlato neurobiologico tangibile. Gli eventi di apprendimento e la memoria sono direttamente collegati a delle modificazioni strutturali all'interno del nostro cervello. Quando studiamo, viviamo una nuova esperienza professionale o semplicemente ci confrontiamo con gli altri, i nostri neuroni tendono a modificarsi (plasticità strutturale) e a creare nuove connessioni (plasticità sinaptica). Nel contesto didattico appare quindi fondamentale approntare strategie funzionali che tendano sempre più ad una caratterizzazione di significatività, allontanando il rischio di un apprendimento meccanico o puramente nozionistico, approccio quest'ultimo, già ampiamente abbandonato dalla pedagogia e dalle scienze dell'educazione.

La dimensione relazionale

Se l'insegnamento è una traccia lasciata dall'insegnante e l'apprendimento è una scoperta autonoma dell'alunno, è altrettanto vero che queste due dimensioni possono incontrarsi soltanto sulla base di una sana relazione. Riferimento teorico di un'azione didattica così intesa, non può che essere la psicologia umanistica, corrente che annovera tra i suoi autori, personaggi quali Carl Rogers e Abraham Maslow. L'indirizzo umanista considera la relazione con il paziente, e nel caso specifico quella didattico-educativa con l'alunno, come un incontro tra persone; da cui scaturisce l'mportanza data all'empatia, all'ascolto, alla mancanza di pregiudizi. Un docente che consideri l'alunno non tanto come discente con l'unico, limitante, compito di dar prova delle nozioni apprese, quanto come individuo dotato di una propria personalità definita, vitale e positiva, esalta il legame umano della didattica stessa. La dimensione relazionale, in unione all'approccio non giudicante, è un altro cardine della teoria umanistica. Infatti la prospettiva umanistica considera la dimensione interpersonale della relazione un aspetto fondamentale sia nello sviluppo della personalità, che nella pratica educativa. In una relazione alunno-insegnante in cui al primo viene rimandata l’immagine positiva di una mente pensante che nonostante le difficoltà merita supporto perché capace di successo, l’alunno per primo si sente a suo agio: abbastanza sicuro per affrontare le paure date dalle novità e, automaticamente, certo nell’intraprendere la ricerca in maniera autonoma. In definitiva, si può dire che un valido insegnante non è il contenitore di concetti e nozioni ma un tramite di conoscenza diventando tale attraverso la relazione che crea con i suoi alunni.

Il "sistema classe"

 La relazione educativa, poi, non può essere intesa solo tra i due soggetti insegnante-alunno, ma va considerata all'interno del sistema classe: una rete di soggetti interconnessi che si influenzano a vicenda, creando un determinato ambiente di apprendimento. Un alunno che si trovi a dover affrontare la difficoltà data da un concetto nuovo, quando avverte di non essere solo ma all'interno di un gruppo che si confronta con i medesimi problemi, sosterrebbe il compito con maggior fiducia nelle proprie capacità e con maggior probabilità di successo. La semplice quanto automatica attività di confronto tra compagni va vista proprio in quest'ottica relazionale. Del resto non è oggi alla base delle tecniche educative di peer tutoring o di cooperative learning? Fonte di queste proposte didattiche è proprio la consapevolezza che lo scambio tra pari incrementa la sicurezza dei soggetti coinvolti, avendo come risultato sia l'acquisizione di nuove competenze sia l'apprendimento relazionale. Insegnante e gruppo classe sono, in definitiva, i mediatori tra il mondo interno di ogni alunno e il mondo esterno. 

Per una comunicazione positiva

Alla base di una buona relazione educativa è un elemento fondamentale: una comunicazione positiva.
Perché la comunicazione sia positiva, dunque si devono mantenere tre elementi fondamentali: l’empatia, l’accettazione non giudicante e la congruenza. Ancora una volta la psicologia umanistica viene in soccorso alla didattica: infatti, quanto sopra detto deriva dalla teoria di Carl Rogers. Il terapeuta statunitense è fondatore di un approccio terapeutico fortemente centrato sulla persona, tentando di comprendere quanto più possibile la globalità dell’individuo. Allora, se già la comunicazione è un atto complesso, tale complessità si amplificherà negli ambienti istituzionali, quali sono le scuole. Il docente che voglia creare un rapporto educativo efficace con i suoi alunni, deve anzitutto proporsi come soggetto empatico, non giudicante e congruente, ricordando sempre che tutta la responsabilità della buona comprensione del messaggio dipende dal suo ruolo, non tanto di docente, quanto di soggetto “dominante” della comunicazione. L’empatia, anzitutto, è un atteggiamento che consente di capire l’alunno, il suo stato d’animo, i suoi sentimenti, mettendosi nei suoi panni. Il professore che abbia un tensione empatica, che comprenda ciò che sentono i suoi alunni, é capace di renderli coscienti delle loro emozioni, agendo da “specchio emotivo”. Il risultato sarà una comunicazione aperta e autentica, in cui gli alunni sentiranno di potersi esprimere, semplicemente perché di fronte a loro c’è una persona che li capisce. Un docente che abbia una considerazione incondizionatamente positiva del discente, rimanda ai suoi alunni l’idea di accettarli per come sono. L’accettazione non giudicante parte dal presupposto che l’altro vada accettato anche se portatore di valori diversi dai propri, semplicemente perché persona e, in quanto tale, degna di rispetto. Gli alunni così avvertono di essere portatori di una individualità accettata

La congruenza

Infine, la chiave di volta per creare dei rapporti autentici con l’altro, è la congruenza: quella capacità di affrontare le diverse sfaccettature della realtà con coerenza. L’unica via che ha un insegnante di mostrarsi congruente è essere apertamente se stesso: il suo modo di agire non potrà che essere il riflesso di quello che sente e pensa. Un insegnante che cerchi di essere impeccabile volendo dimostrare di esser sempre informato su tutto e non riuscendo a tollerare l’idea di non saper rispondere ad una domanda che lo colga impreparato, non è capace di ammettere le proprie debolezze e trasmette un'immagine falsata di sé. Contrariamente un insegnante che accetti con serenità le proprie debolezze e non si faccia problemi nel mostrarle agli altri, non solo dà di sé un’immagine autentica ma trasmette ai suoi alunni l’idea -sana- che si può essere accettati anche se non si è sempre perfetti, se non si sa qualcosa o se si sbaglia. Ponendo l’empatia, l’accettazione e la coerenza alla base del proprio agire educativo l’insegnante è in grado di creare un varco tra sé e gli alunni, per impostare al meglio la comunicazione e raggiungere così una relazione educativa gratificante per entrambe le parti.


Prof.ssa Stefania Chirico
Abilitata all'insengnamento di Filosofia e Storia
Si occupa di Didattica Inclusiva, strategie e metodi di intervento sulla disabilità in ambito scolastico


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