Quando la Violenza si traveste da Amore!
Ogni
anno in Italia 15 mila donne subiscono violenze per lo più in famiglia. Questi
sono i dati di chi denuncia, ma non tutte le donne lo fanno, soprattutto nei
casi in cui le violenze si consumano tra le mura domestiche. Nel 60% dei casi
l’autore della violenza è il partner (48% marito, 12% convivente) e nel 23% è
l’ex partner. Mentre nel 24,7% la violenza è ad opera di parenti, amici, colleghi e datori di lavoro. Ma è sconvolgente che il 20% degli abusi e maltrattamenti avviene
durante la gravidanza. Oltre 12 milioni le donne italiane tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno un atto di violenza fisica, sessuale o psicologica nell'arco della vita.
Solo
nel 2012 in Italia sono state uccise 124 donne, mentre nel 2013 il numero è salito a 130 (con una media di una donna ogni due giorni). In questo caso
parliamo di “femminicidio” e nel 60% dei casi è avvenuto tra persone che
avevano una relazione di affetto e di fiducia. Per femminicidio si intende
una qualsiasi violenza fisica, sessuale o psicologica che attenta alla salute
psico-fisica, alla libertà e alla vita della donna con l’obiettivo di sottometterla,
annientarla e ucciderla (Marcela Lagarde, 1993). Ma l’omicidio è il culmine di
una vita di violenze e non un momento di follia o un raptus di rabbia.
Prima
di arrivare all’omicidio, spesso, soprattutto quando l’uomo è lasciato dalla propria partner, non
riesce a superare l’abbandono perché ritiene la donna una “cosa” di sua
proprietà, mette in atto comportamenti quale il perseguitare la donna, pedinarla,
chiamarla continuamente, scriverle centinaia di sms al giorno e minacciarla. In
questo caso parliamo di “stalking”.
L’obiettivo
è quello di individuare precocemente le situazioni di rischio e i segnali
d’allarme. Segnali che devono essere attenzionati dalle donne, dai loro familiari,
dai medici di famiglia.
I segnali d'allarme sono i comportamenti aggressivi del partner,
verbali e fisici (un urlo improvviso, un gesto spazientito), insulti, minacce,
conflitti continui soprattutto per futili motivi, eccessiva gelosia che comporta privare della
libertà la partner e ritenerla un proprio possesso facendo sì che abbandoni il
lavoro e i rapporti con gli amici e con la famiglia d’origine. Un'altra caratteristica è il sentimento di dominanza di un
partner sull’altro e la totale mancanza di rispetto e di affetto (“chi ti ama non ti
picchia”). Inoltre, l’uomo mette in atto comportamenti manipolatori alternando l’aggressività
con la dolcezza e la gentilezza con cui chiede scusa promettendo che non accadrà
più. Ma tale promessa non riesce mai a essere mantenuta. Altri aspetti prettamente
psicologici che si sviluppano nell’abusatore sono: sentimento di helplessness,
cioè di fragilità considerata inaccettabile e non essendo capace di gestirla
trova nell’uso della violenza l’unico modo per soffocarla, violenza che viene
usata anche per controllare la depressione e i sentimenti di umiliazione vissuti
come intollerabili.
Senza
giustificare i comportamenti di violenza e abusi, si deve tener conto che molte
ricerche hanno osservato che il 20% di uomini abusatori sono cresciuti in
ambienti violenti e a loro volta hanno subito maltrattamenti e sviluppato
disturbi di personalità.
Mentre
le donne vittime di violenza tendono a sviluppare sensi di colpa, credendo di
meritare i maltrattamenti subiti, angoscia, insicurezza e vergogna, hanno
bassi livelli di autostima e non “vedono” alternative oltre la sottomissione. Nella
convinzione di poter cambiare il proprio compagno e salvarlo da se stesso
fungendo da “crocerossine”, sviluppano una dipendenza dal proprio partner che
gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento della catena “mi picchi-ti
perdono-mi ripicchi”. Tutto ciò si può tradurre in un malessere generalizzato che si
riversa in abuso di alcool, droghe, psicofarmaci e sviluppo di disturbi psicologici
quali depressione, ansia, attacchi di panico, disturbi dell’alimentazione e del
sonno, disturbi psicosomatici e da stress, arrivando anche a tentare il suicidio.
Cosa
può fare la donna, la famiglia e la società per aiutare a uscire dal vissuto di
violenza e prevenirlo?
La donna dovrebbe parlarne con la famiglia d’origine o
con gli amici fidati mettendo da parte la vergogna e il senso di colpa e
denunciare il partner alle forze dell’ordine. Inoltre, sul territorio sono presenti centri antiviolenza a cui potersi rivolgere, che affiancano la donna in
questo difficile percorso di cambiamento grazie a figure specializzate:
dall’avvocato, allo psicologo, al medico, all’assistente sociale, fondamentale
alla presenza di figli nella coppia. È stato anche istituito il Telefono Rosa, un
centralino antiviolenza sul territorio italiano che risponde al numero 1522,
promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità e che offre accoglienza telefonica
multilingue, attivo 24/24h per 365 giorni l’anno e che indirizza alle casa
accoglienza più vicine nella propria provincia, a gruppi di sostegno a cui
partecipare e consulenze specialistiche.
Per
quanto riguarda le politiche territoriali è importante che investano
su campagne di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza sulle donne, sostengano la ricerca e la creazione di centri antiviolenza, attuino politiche per il superamento della visione sessista per la quale la donna è inferiore
all’uomo, quando invece ha pari diritti e dignità in quanto PERSONA, applichino pene più severe e aumentino i centri riabilitativi per
chi abusa,
Ma
il ruolo più importante è svolto dai genitori che sono gli educatori delle
nuove generazioni sia a livello emotivo che comportamentale e valoriale,
insegnando ai propri figli a riconoscere e gestire tutta la gamma di emozioni (positive
e negative) che l’uomo sperimenta, senza mai negarsele in modo da imparare a gestirle e di conseguenza sviluppare RISPETTO per sé e per gli altri .
Dott.ssa Moira Casella
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