Una
classe è un microcosmo di complessità. Ogni alunno che la compone è il
portatore di una storia, di un'intelligenza, di capacità e competenze proprie
che vanno rispettate e supportate. Sostenere un alunno che abbia un Disturbo
Specifico dell’Apprendimento non è certo cosa semplice all’interno di una
quotidianità ricca di variabili, sempre più veloce. L’istruzione rischia di
rimanere schiacciata tra le esigenze istituzionali e le tempistiche individuali
della persona. Per questi motivi affrontare i Disturbi Specifici
dell’Apprendimento sotto l’aspetto psicologico oltreché didattico è una
strategia importante ai fini del successo scolastico degli alunni. La
collaborazione tra insegnanti e psicologi non può che avere effetti positivi
sia sul piano didattico che sul benessere degli alunni. Se l’insegnante cura
l’istruzione del soggetto e lo psicologo ha le competenze per attuare eventuali
strategie di prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione-riabilitazione, un
lavoro di sinergia tra i due professionisti avrà effetti positivi su piano
educativo, dunque sulla persona intesa globalmente. E ciò vale ancora di più
nella pratica didattica rivolta agli alunni con DSA.
Cosa sono i
Disturbi Specifici di Apprendimento
Il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a partire dalla
legge dell’8 Ottobre 2010, n. 170, riconosce la dislessia, la disgrafia,
la disortografia e la discalculia quali Disturbi Specifici
dell’Apprendimento, denominandoli DSA. Alla base dei DSA ci sono fattori
neurobiologici che compromettono il normale apprendimento della lettura, della
scrittura o del calcolo. Si parla di dislessia se la difficoltà concerne la
decodifica del testo, di disgrafia nel caso di deficit nell’abilità
grafomotoria, di disortografia se ad essere inficiate sono la capacità di codifica
fonografica e la competenza ortografica e, infine, di discalculia se l’incapacità
è relativa all’area del calcolo. Può presentarsi, e non è raro, il caso che la
stessa persona abbia deficit in più di un’area dell’apprendimento e/o in
associazione con altri disturbi senza che tra le due patologie esista una
relazione causale; questa situazione viene definita tecnicamente comorbilità. La concorrenza di più
disturbi non ha comunque causa monopatogenetica, quindi se un alunno è sia
dislessico che discalculico o sia dislessico che iperattivo, la sua comorbilità
non è da intendersi come l’espressione diversificata di una stessa patologia. Va
ancora ribadito che i DSA non compromettono lo sviluppo globale della persona,
anzi possono essere definiti come un’atipia dello sviluppo, perché all’interno
di una situazione intellettiva adeguata all’età anagrafica della persona,
semplicemente una o più aree dell’apprendimento risultano non sufficienti. Del resto
tale atipia dell’apprendimento può essere affrontata attraverso specifici
interventi didattici. Ma prima di intervenire un docente valido saprà
individuare e riconoscere un disturbo dell’apprendimento, cosa che avviene con una corretta osservazione della classe.
Individuazione,
diagnosi, didattica
Per la fase di osservazione preliminare, sul piano didattico, basta tenere nella giusta considerazione la frequenza di alcuni errori o difficoltà che se nella fase iniziale dell’apprendimento sono assolutamente normali e frequenti, quando reiterati e costanti vanno tenuti nella giusta considerazione. In questo senso ha altissimo valore preventivo lo svolgimento di una eventuale attività di screening nel corso dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia. Esso consiste in una ricerca sul campo da svolgersi nelle scuole, da parte di insegnanti appositamente formati e adeguatamente supportati dai professionisti sanitari. L’obiettivo non è, ovviamente, quello di tacciare gli alunni con il marchio del deficit d’apprendimento sin dall’inizio della loro carriera scolastica, piuttosto quello di poter pianificare attività pedagogico-didattiche di potenziamento e di supportarli nella maniera più adeguata possibile.
La
fase di osservazione scolastica, che si svolge a partire dalla scuola primaria,
permette al docente che noti difficoltà sospette di offrire momenti di recupero
e potenziamento agli alunni, per assicurarsi che gli errori compiuti
dall’alunno nella lettura, nella scrittura o nel calcolo possano essere segnali
di deficit piuttosto che semplici errori. Se le difficoltà persistono
nonostante le attività di recupero e potenziamento, infatti, il docente deve
comunicare alla famiglia quanto sospettato, consigliando una tempestiva
consulenza diagnostica. A questo punto il ruolo del docente può considerarsi
temporaneamente concluso per due motivi di ordine educativo e clinico. Nel
primo caso, infatti, si deve sempre tenere presente che la principiale
responsabilità educativa degli alunni attiene alla famiglia, e della famiglia deve
essere la scelta di approfondire o meno il sospetto di un deficit di
apprendimento, nel secondo caso, non meno importante, va tenuta in
considerazione la competenza specifica necessaria all’iter diagnostico. La
diagnosi, infatti, può essere svolta esclusivamente da un’equipe composta dal
Neuropsichiatra infantile e dallo Psicologo ed eventuali altri professionisti
sanitari. Già solo nella fase di individuazione e accertamento di un disturbo
dell’apprendimento risulta evidente quanto sia importante la collaborazione tra
varie istituzioni, ma soprattutto tra didattica e psicologia. Lo psicologo,
infatti, non solo possiede le competenze necessarie all’accertamento della
presenza di un disturbo dell’apprendimento, ma può svolgere un ruolo importante
anche in fase di pianificazione delle attività didattiche da proporre
all’alunno interessato. In fase diagnostica è infatti necessario l’utilizzo di
alcuni test standardizzati quali -solo per fare un esempio- i test
multicomponenziali (WISC III, 2006; WISC-IV, 2012; CAS), utili alla
valutazione cognitiva generalmente intesa o quelli relativi alle abilità
logico-matematiche e di letto-scrittura (DDE-2; MT-2 per la scuola primaria; SPILLO; AC-MT; ABCA). Questi strumenti, individuando la
presenza di un problema, permettono allo specialista di avere una conoscenza
articolata e approfondita del singolo caso, quindi dell’ alunno inteso come
persona e, infine, rendono più semplice
l’individuazione delle strategie didattiche adeguate alla persona.
Una
volta effettuato l’iter diagnostico (che a farlo dia il Servizio Sanitario Nazionale
o uno specialista privato poco importa), la famiglia trasmette la relativa
certificazione alla scuola che predispone le strategie didattiche funzionali al
soggetto. E’ in questa ultima fase che rientra in gioco il docente cui spetta
il compito di concretizzare l’istruzione dell’alunno interessato. La legislazione
prevede la possibilità di supportare i deficit dovuti alla presenza di un DSA,
grazie all’ <<uso di una didattica
individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro
scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto>>
e, di volta in volta <<adottando una metodologia e una strategia
educativa adeguate>>. La didattica individualizzata e la didattica
personalizzata, però, non vanno confuse: individualizzare un iter didattico
significa porre percorsi individuali per il raggiungimento di obiettivi comuni
all’interno di un gruppo classe, personalizzarlo, invece, significa offrire
percorsi didattici considerando l’alunno nella sua peculiarità (soprattutto dal
punto di vista qualitativo dei contenuti), attraverso metodologie e strategie
didattiche mirate alle specifiche esigenze educative del singolo alunno.
Integrare questi due tipi di didattica è il modo migliore per affrontare con
successo le problematiche legate all’apprendimento degli alunni con DSA.
Il
Ministero, inoltre, tramite le Linee
Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi
specifici di apprendimento, dispone le strategie didattiche da adottare per
questi deficit, utilizzando nella terminologia i concetti di strumenti compensativi e misure dispensative. Per strumenti compensativi si intendono quei supporti didattici, utili a
colmare l’abilità mancante. E’ il caso dei registratori, dei sintetizzatori
vocali, dei programmi di scrittura con correttore ortografico, della
calcolatrice, ma anche delle tabelle e delle mappe concettuali. Non si tratta
di scorciatoie per rendere meno complessa la prova cui l’alunno è sottoposto,
ma di tecnologie necessarie ai fini dello svolgimento della prova stessa. Lo
studente che abbia deficit dell’apprendimento può impegnarsi quanto vuole a
sviluppare una abilità ma se essa è deficitaria rimarrà tale, e l’unico modo
per avere risultati positivi nelle proprie performance è l’utilizzo di un
supporto che sostituisca una abilità che di fatto non è sufficiente. In caso
contrario accade che l’alunno svolga il proprio compito male, spendendo tempo
ed energie su operazioni che per gli altri compagni sono ormai degli
automatismi. Per questo motivo, quando ancora i DSA non erano stati
riconosciuti come disturbi veri e propri gli alunni con deficit da
apprendimento venivano spesso accusati di scarso impegno, mentre invece -loro-
di impegno ce ne mettevano anche più del dovuto. Oltre gli strumenti di compensazione, si è detto,
altre strategie utili sono le dispense dallo svolgimento di alcune prove. Anche
in questo caso c’è il rischio che chi non abbia un disturbo di apprendimento interpreti
la legittima dispensa da prove gravose -per chi presenta un problema di
apprendimento- come uno sconto ingiusto. In realtà ad essere eliminata non è la
prova in sé, perché contenutisticamente l’alunno è chiamato a dimostrare quanto
appreso, ma la metodologia con cui il compito viene proposto. Non dispensare un
alunno con DSA da una specifica forma d’esame significherebbe sottoporlo a
sicuro fallimento in quanto si troverebbe di fronte ad un ostacolo -il tipo di
prova- che per sua natura non può superare, senza avere, tuttavia, vie
alternative per esporre i contenuti. Giusto per fare un esempio, un alunno
dislessico che debba leggere, non verrà agevolato maggiormente se il brano sarà
lungo, ma al contrario si stancherà maggiormente, un discalculico che debba
imparare le tabelline a memoria e ripeterle si affaticherà inutilmente, senza
avere risultati gratificanti; allo stesso modo ridurre la quantità della prova
(senza modificarne la qualità) o prolungare il tempo a disposizione per lo
svolgimento di un compito, può agevolare lo studente perché comunque perderà
più tempo (rispetto al resto della classe) per la semplice decodifica della
consegna.
La persona protagonista
della strategia di intervento
Al di là
della funzionalità di strumentazioni e strategie didattiche necessarie alla
convivenza con un disturbo dell’apprendimento, resta comunque basilare
l’aspetto relazionale dell’approccio ai DSA.
Un alunno che ha un disturbo specifico di apprendimento
si sente diverso dai suoi compagni, perché incapace di svolgere attività che
per gli altri sono elementari. Logica conseguenza della sensazione di diversità
è la disistima di sé che può diventare causa di isolamento ed emarginazione. Lo
studio diviene un compito ancora più gravoso e ricco di ansie del normale,
dunque da evitare. Allora, la reazione più facile di un ragazzo con DSA di fronte
alle consegne didattiche che è chiamato -in quanto discente- a svolgere, è la
fuga: se evito di mettermi alla prova i miei limiti non verranno fuori, i miei
compagni non noteranno la mia difficoltà e non potranno giudicarmi diverso, quindi, sarò uguale al
resto della classe che non mi metterà da parte. Quando non supportato
correttamente sul piano emotivo, lo studente diventa sfuggente a qualsiasi forma
di confronto e aggressivo, arrivando ad attuare comportamenti disturbanti che
diventano, paradossalmente, gli unici fattori di incontro con il resto della
classe altrimenti vissuta come un mondo alieno da sé. Il successo scolastico,
in questi casi, dipende principalmente dalla relazione tra docente e alunno.
L’insegnate
deve principalmente saper contenere le emozioni negative legate alla diagnosi
di DSA: l’alunno va guidato ad accettare il suo disturbo, a viverlo come una
sua propria caratteristica e non come una malattia. Rimandare continuamente all’alunno
l’idea di essere una persona intellettualmente valida e degna di stima,
incoraggiarlo nelle sue capacità sottolineando i suoi successi, stimolarlo a
coltivare ciò che gli piace e rinforzarlo nelle sue capacità, sono tutte
strategie indubbiamente essenziali per mantenere alta la sua autostima. Le
strategie appena elencate sembrerebbero delle ovvietà ma sul campo questi non
sono meccanismi automatici e si concretizzano, essendo percepiti come reali
dall’alunno, solo all’interno di un rapporto autentico. Docente e discente
restano sempre due persone che devono trovare un loro canale di comunicazione
per creare un rapporto di successo, obiettivo già difficile in un contesto
colmo di stimoli e necessità come quello scolastico; se si considera, poi, la
maggiore difficoltà dovuta al deficit di apprendimento per le ulteriori difese
dietro cui si protegge l’alunno, si può immaginare quanto sia delicato e
complesso il processo comunicativo tra le due parti e, dunque, la creazione di
una sana relazione educativa. Si può solo immaginare, allora, quanto si
amplifichino e si diversifichino le paure che gli alunni con deficit di
apprendimento devono affrontare. Una semplice attenzione, come quella di
posizionare l’alunno in prima fila o accanto ad un compagno con cui vi sia una
buona relazione può essere un’azione strategica, anche se apparentemente
insignificante: così gli si dà modo di essere più concentrato e di usufruire
immediatamente di un aiuto, elementi banali forse, ma non per chi abbia un
deficit d’apprendimento. Del resto è anche vero che ogni successo scolastico e
ogni apprendimento acquisito incoraggiano l’alunno, che percepisce di essere
una persona capace nonostante le proprie difficoltà. Al contrario, non
fornirgli i giusti input o addirittura privarlo dei necessari strumenti di
compensazione o delle misure dispensative lo porta automaticamente ad uno stato
di inferiorità rispetto al resto della classe, con tutte le conseguenze
negative cui si è appena fatto cenno. La strategia migliore per ottenere una
didattica efficace in relazione ai DSA è quella di considerare la persona nelle
sue mille sfaccettature.
Ovviamente
quanto appena detto va contestualizzato all’interno della pratica didattica
quotidiana, con tutte le difficoltà che essa comporta. E’ per questa ragione
che acquisisce ancora più valore la figura dello psicologo a scuola, perché
proprio grazie alle proprie competenze specifiche, qualifica le strategie
attuate nei confronti dell’alunno e nel contempo supporta il lavoro degli
insegnanti. Un alunno con DSA, è il caso
di ricordarlo, non è altro che un alunno che presenta un suo stile di
apprendimento che va studiato, compreso ed affrontato nella maniera adeguata,
così come vanno abbattuti tutti gli atteggiamenti di difesa dietro cui egli cerca di nascondere le
sue difficoltà. In questo senso il lavoro di rete tra docente e psicologo è
certamente essenziale per il successo formativo di un alunno con disturbi di
apprendimento perché lo supporta globalmente, dunque non soltanto sotto
l’aspetto cognitivo-didattico ma anche sotto quello emotivo-motivazionale.
Prof.ssa Stefania Chirico
Abilitata all'insengnamento di Filosofia e Storia
Si occupa di Didattica Inclusiva, strategie e metodi di intervento sulla disabilità in ambito scolastico