Museo della Mente. Uno sguardo attraverso il muro



Descrivere il Museo Laboratorio della Mente non è impresa semplice. In un’immagine, è un po’ come andare ad un concerto di musica indie: la musica non ti viene certo incontro, non si preoccupa di avvicinare il tuo gusto o la tua approvazione; sembra quasi un muro da abbattere, devi essere tu a cercarla, a volerla, l’unico modo per sentirla davvero tua sarà "incontrarla" dentro di te.
Ne parleremo tra poco. 
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Siamo a Piazza S.Maria della Pietà, zona Nord di Roma. Qui si trova quello che, un tempo, era l’ex manicomio più grande d’Europa, l’Ospedale Psichiatrico “Santa Maria della Pietà”. Una sorta di “manicomio-villaggio”: un’area di centotrenta ettari, immersa nel verde, una struttura composta da quarantuno edifici. Ventiquattro di questi erano padiglioni di degenza, ognuno una realtà a sé stante: il XVIII era quello dei criminali, nel XIV stavano gli agitati, nel XXII i cronici, nel XII tutti i pericolosi per tentativi di fuga e di suicidio, e cosi via. Il più grande era il XXII, il” Bisonte”, qui confluivano gli epilettici, i dementi senili e gli schizofrenici. In totale il Manicomio ospitava piu di mille pazienti.
L’Ospedale Psichiatrico ha chiuso i battenti nel 1999: ben vent’anni dopo la “Legge Basaglia”, l’ormai storica legge 180 che, nel 1978, bandì di fatto la pratica manicomiale dall’assistenza psichiatrica in Italia.
Oggi parte della sua storia è raccolta al padiglione VI . Qui dal 2000 ha sede il Museo Laboratorio della Mente. Se pensate al classico Museo siete fuori strada. Se (come me) alle mostre indugiate sulle didascalie, vi fornite di mappa audio, vi accodate alla prima guida incontrata, rimarrete (come me) sulle prime spaesati. L’entrata è minimale (un paio di cartelli e un citofono a cui suonare, potresti credere sia chiuso). Giunti dentro, vi verranno segnalate le tappe del percorso con le informazioni fondamentali, e nient’altro. Si tratta di una scelta voluta. Perche’ il Museo della mente non vuole raccontare una storia, vuole farla (ri)vivere. E per riviverla non serve la narrazione, ma le tue emozioni, la tua partecipazione alla trama, dovrai letteralmente farne parte. Un Laboratorio più che un museo, un luogo dove puoi sentire e vedere, ma dove solo con l’immedesimazione potrai ascoltare ed osservare. Un luogo non per rassicurarti, ma per farti partecipare. L’empatia  lo strumento privilegiato, la chiave per un dialogo autentico tra chi stava (e sta) da un lato del muro e chi dall’altro. Un muro che ieri era fisico (il Manicomio) ma che oggi rimane alto e forte tra noi: lo Stigma, quella barriera “di sicurezza” che divide chi sta “fuori” ( la “società civile”) da chi sta “dentro” (il “malato mentale”). Il Museo della Mente vuole rimescolare le carte, creare il contatto tra i due mondi. Ricordarci che non sono due mondi alieni, ma in realtà alquanto vicini, perchè “visto da vicino nessuno è normale”. Descrivere il Museo a parole non è semplice , ma ci proveremo: con le parole, e con gli scatti di Virginia, la mia “compagna di viaggio”, il cui racconto fotografico è sempre uno splendido valore aggiunto.
 
Il percorso presenta una duplice veste. La prima parte è dedicata ai “Modi del sentire”: una successione di ambienti dove calarsi con le proprie percezioni, e riflettere su di esse. Ad esempio la camera di Ames: essa dimostra come il nostro sistema percettivo possa produrre distorsioni, quando nell’ambiente circostante alcuni fattori alterino i nostri schemi visivi di riferimento. Dentro una stanza si posizionano due soggetti, e un terzo le osserva da un foro esterno: la stanza ha una forma molto diversa rispetto a quelle abituali, ma il nostro occhio non se ne accorge. D’altra parte, esso percepisce un’immagine deformata dei due soggetti: la nostra mente, in qualche modo, sceglie di vedere uomini con altezze bizzarre, piuttosto che un ambiente diverso da quello a cui è abituata. Ma se necessitiamo così tanto dei nostri punti di riferimento, ciò inconsciamente può portarci ad allontanare quel che non riconosciamo come familiare.  Lo stigma, sopra ogni altra cosa, è paura della diversità: o forse, è la paura di trovare in noi quella diversità. Tenerla a distanza, allora, ci sembra la soluzione più semplice e immediata.

Le esperienze sensoriali proseguono.  Entri in una nuova sala, e trovi una bocca bloccata nell’atto di comunicare. Di fronte a te un microfono, parlando le labbra si attivano, ma non esprimono le tue parole, bensì labiali incomprensibili. Il microfono ha dato vita alle labbra, ma gli ha dato  davvero anche “voce”? Una persona senza ascolto è una persona fuori dal mondo, l’incomunicabilità una della barriere più insopportabili da sperimentare, perdere il significato della tua voce finisce, in ultimo, per soffocare anche il fiato con cui la emetti.
Ad un certo punto il Museo chiede anche a te di “diventare folle”, per qualche minuto. Finora eri osservatore interattivo, ma ora devi davvero entrare nella parte. La sala propone un tavolo e due pulsanti. Mimando la classica posizione del soggetto uditore di “voci” (con gomiti sui pulsanti e mani a coprire le orecchie) percepirai una voce, come se essa provenisse da dentro di te. Poco più in là sta uno schermo, su di esso scorrono delle fotografie. Sono “foto parlanti”, per ascoltarle devi riprodurre il tipico dondolio ossessivo di molti pazienti: in questo modo uno di loro apparirà sullo schermo, e ti racconterà delle “voci” che hanno accompagnato la sua vita.
La seconda parte del percorso è dedicata alle memorie. La farmacia, la camera di contenzione fisica, gli strumenti di elettroshock, la “fagotteria” (luogo in cui i ricoverati lasciavano abiti ed averi), i libri e i documenti assolvono ai buoni “doveri”espositivi.

Ma quello che davvero il Museo della Mente vuole mostrare sono le esistenze.
O meglio, le esistenze negate, di chi i manicomi li ha vissuti per anni. Siamo nella sala “Inventori di mondi”. Qui, tra le altre, è esposto il muro di Oreste Fernando Nannetti: paziente dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra, incide un’ intera parete con la sola fibbia della sua divisa. Graffiti che a uno sguardo esterno sono indecifrabili. L’immagine è quella del “silenzio assordante”, dell’urlo castrato in gola, della disperata ricerca di comunicare la propria presenza: certo lacerata dalla malattia, soffocata da luoghi che più che curare miravano a custodire (gli altri, chi stava fuori), ma non ancora spenta del tutto. I graffiti sono lì sul muro, in tutta la loro cripticità. E pongono il dilemma, la scelta nuda e cruda, senza compromessi. La scelta, da sempre, è da che parte del muro stare, da che angolo leggere i graffiti, i segnali che ci manda “il folle”: se dal lato dell’isolamento, del glaciale distacco da chi usa un canale comunicativo per noi oscuro. O se dal più caldo lato della comprensione, quella di chi prova non solo a spiegare (a se’stesso) ma anche ad interpretare (l’altro),  di chi ricorda che per ogni esistenza ci possono essere infiniti mondi. Di chi dietro ogni modo di essere intravede un senso, degno di essere ascoltato, anche (e soprattutto) quando i colpi dell’esistenza (o della malattia, come si vuole) l’hanno a tal punto frammentato da renderlo, in apparenza, ormai svanito.
Scrive Franco Basaglia nelle Conferenze Brasiliane (1979) “Giorno dopo giorno, anno dopo anno, passo dopo passo, disperatamente trovammo la maniera di portare chi stava dentro, fuori e chi stava fuori dentro”. L’ultima parte del Museo si sofferma sulle tappe di quell’intrepido percorso che, negli anni 60-70, trasformo’ l’assistenza psichiatrica in Italia. Una marcia incessante, quasi estenuante, ostinata, in grado di “portare fuori” migliaia di persone, superando ostacoli quasi insormontabili con le armi delle idee e del coraggio . Una vera rivoluzione cui oggi dobbiamo la chiusura dei manicomi.
Quello di S.Maria della Pietà, il più grande d’Europa, chiuse definitivamente nel 1999. L’anno dopo sorge il Museo Laboratorio della Mente. Un viaggio a doppio binario, un’andata e un ritorno. Un dialogo interiore, un’esperienza conoscitiva, un far “uscire dentro” un’emozione e una riflessione. E’ il tentativo di stabilire un contatto, di “sfiorare” il malato mentale per mezzo di una luce non convenzionale ma che, anche solo per un attimo, possa permettere di intravederlo. E poi il racconto di chi, abbattuto il muro della reclusione, è  “entrato fuori” nel mondo, un mondo che di fatto lo aveva escluso, ma che doveva riaccoglierlo. Da entrambe le parti fu un transito per nulla indolore. Ma la fine dei manicomi è, se c’e n’è una, la vera “pietra miliare” nell’impervio sentiero della lotta allo Stigma. 


Dott. Stefano Naim 
Foto: Dott. Virginia Rasi 

Che sia il "VOSTRO" 2016

"Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po'..." Eccoci qui. Anche quest'anno volge al termine e un altro anno si affaccia sul futuro, con tutti i sogni e le speranze che ci accompagnano. Si sa l'ultimo dell'anno è sempre tempo di bilanci e buoni propositi, il momento in cui la "fine" e l'"inizio" sono così vicini da permetterci, in un battito di ciglia, di guardarci indietro e proiettarci avanti con la fantasia; nostalgie e prospettive tutte insieme, un flusso di pensieri ed emozioni spesso difficile da gestire, che forse, non solo per tradizione, ci porta a festeggiare, ci spinge, quasi per necessità, appunto a: "distrarci un po'". Così abbiamo deciso di ascoltare il suggerimento del grande cantautore bolognese, metterci a scrivere agli amici di questo blog, a chi in questi anni ci ha sostenuto e ci ha fatto crescere professionalmente e soprattutto come persone.

E' passato un po' di tempo da quel maggio 2013, in cui tre giovani psicologi hanno deciso di mettersi in gioco provando a mettere in piedi quella che all'epoca era solo una scommessa, dettata dall'impossibilità di "stare fermi", dalla voglia di condividere e mettere in pratica quello che si era appreso sui libri per dare vita a un percorso insieme. "Il nostro sarà un gruppo di lavoro" ci siamo detti, dandoci come obiettivo principale quello di farlo crescere assieme a noi. Per crescere abbiamo pensato fosse il caso di aprire una porticina sul mondo attorno e creare uno spazio di condivisione, una cassa di risonanza per quelle che sarebbero state le nostre future iniziative e soprattutto un luogo virtuale (e non) aperto a tutti coloro nutrano interesse per tutto ciò che riguarda le cosiddette "scienze dell'uomo". Così è nata l'Equipe del Benessere Psicologico, accompagnata dalla sua diretta emanazione il Blog del Benessere Psicologico con l'obiettivo principale di "mettere insieme". Mettere insieme le nostre professionalità creando uno spazio tangibile, un qualcosa che ci permettesse di scambiarci idee e informazioni nuove, che ci assicurasse la possibilità di incontrarci anche se i luoghi di formazione e di lavoro ci avrebbero portato ad essere fisicamente distanti; mettere insieme le esperienze, dando vita a un punto di riferimento per chi si occupa di salute e prevenzione nell'ambito della psicologia, della medicina, della farmacologia e del benessere personale; mettere insieme le persone, organizzando occasioni di confronto e dibattito per diffondere la cultura del benessere psicologico nei vari ambiti sociali. 


Una sfida ambiziosa accompagnata da un nome ambizioso. Ci siamo voluti prendere il rischio di associare alle nostre attività quel costrutto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come "Lo stato nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni", il benessere psicologico appunto. 

Qual era il rischio? 

Quello di lavorare e scrivere seguendo il ritmo delle ricette preconfezionate, abbandonandoci alla risposta a tutti i costi, ai "consigli utili", perentori e uguali per tutti, dei quali riviste, internet e tv traboccano. 

Dove sta la sfida?
 
Nel cercare di sovrastare questo "ritmo", creando occasioni per un "ritmo altro", lavorando alla visione sempre più dinamica di un benessere psicologico da costruire insieme e basato sugli elementi cardine del confronto e della condivisione, consci che non esistano delle "magiche regole" per stare bene, che al benessere della persona non può essere affibbiata un'unica etichetta, ma è piuttosto il caso di incontrare e guardare le persone negli occhi, seminando occasioni di cambiamento. 

E così abbiamo fatto, abbiamo seminato occasioni in cui il confronto e l'approfondimento sul nostro modo di funzionare come persone sono stati al centro. Abbiamo dato vita ad attività di prevenzione, formazione e informazione, accompagnati dall'instancabile voglia di ascoltare, "dire la nostra" e poi ri-ascoltare per costruire assieme a Voi quello scambio proficuo che ci permette di raccontarci e a volte di "ri-raccontare" la nostra storia. Il benessere psicologico non come un qualcosa da ottenere a tutti i costi, non come ideale di funzionamento ma come accoglienza e condivisione. Aspetti centrali che riportiamo ogni giorno nella nostra pratica professionale, ma che grazie al Blog e all'Equipe si sono traformati in aspetti fondamentali anche delle nostre attività nell'ambito della prevenzione. Un modo di lavorare che ci ha permesso di tenere sempre aperta la "porta" dello scambio di idee e di professionalità. 

Così il 2015 è stato l'anno delle collaborazioni e degli incontri. Dal progetto "Sicuri sin da piccoli"  con ResNova S.r.l. che ci ha permesso di occuparci delle nozioni di sicurezza e prevenzione con gli strumenti che più ci piacciono (e cioè quelli della psicologia) e con i partecipanti più stimolanti in assoluto, passando per la seconda edizione del "Memory Training" (in collaborazione con la Dott. Stefania Petrulli e l'Auser) il nostro sostegno all'inclusione sociale e all'invecchiamento attivo, fino alla partecipazione alle iniziative contro la violenza sulle donne frutto della collaborazione tra le Dott.sse Chiara Caracò e Moira Casella  per chiudere con "EFFICACE-MENTE 2.0 Teorie e tecniche per migliorare il metodo di studio" seconda edizione del corso nato dalla collaborazione con l'Associazione New Deal. Esperienze, riflessioni, ma soprattutto PERSONE che hanno incrociato la nostra strada e che oggi ci sentiamo di ringraziare una per una, da chi ha costruito con noi i progetti a chi vi ha partecipato, dai piccoli alunni delle scuole elementari, agli anziani sempre più attivi, passando per gli studenti universitari sempre più curiosi e aperti all'esperienza. 
E così ci sentiamo di dedicarvi un immenso GRAZIE! E' il nostro saluto al 2015 per i nostri lettori, per i partecipanti alle nostre attività e per i nostri collaboratori, assieme all'augurio per un 2016 che oltre ad essere sereno, felice, gioioso e tutte quelle belle parole che poi rischiano di trasformarsi in aspettative troppo pesanti da sostenere, sia soprattutto: VOSTRO! Blog e Equipe del Benessere Psicologico continueranno a tenere quella "porticina" sempre aperta all'ascolto, continuando a porsi sempre più domande, senza cedere alle risposte preconfezionate, convinti che della psicologia e di conseguenza delle persone bisogna occuparsene e non solo pre-occuparsene!

"L'anno che sta arrivando tra un anno passerà, noi ci stiamo preparando è questa la novità" 

Santo Cambareri, Moira Casella e Carmela Gratteri:
l'Equipe del Benessere Psicologico

E visto che non ci fermiamo neanche per la fine dell'anno, abbiamo deciso di farvi un regalo. Il Dott. Stefano Naim ha visitato per i nostri lettori il "Museo Laboratorio della Mente" di Roma con tanto di reportage fotografico! Godetevi l'articolo!  

Guardiamoci dentro, ma con l'altro.

Breve riflessione su infatuazione, sessualità e amore.



Trovarsi tra le mani un libro dal titolo "L'Amore non basta" di Aaron Beck innesca la voglia di immergersi nella sua lettura. Ciò che si coglie è la bellezza del suo contenuto poiché l'argomento principale è il sentimento più intenso che possiede ogni essere umano: l'amore. L'infatuazione, la sessualità sono parte di un sistema di cui è a capo l'amore!

Dalla letteratura si può osservare quanti studiosi si sono interessati a questo argomento. Dunque, cercheremo di comprenderne alcuni aspetti. Aaron Beck, psicologo e psicoterapeuta, ci ha spiegato come nella fase del corteggiamento si è abbastanza presi da considerare come positivo anche il comportamento più sgradevole. "La sua rabbia verso me è la prova del suo amore". Vi si presenta l'incapacità di comprendere i tratti spiacevoli della persona amata e questo rientra nel cosiddetto piano di infatuazione. Ciò rappresenta il presupposto per impedire le valutazioni negative, pertanto promuove aspettative positive riguardo la persona amata e non sposta l'attenzione sulle caratteristiche spiacevoli oggettive o sugli effetti deleteri del rapporto. L'infatuazione, secondo Aaron Beck, inizia con le preferenze e i gusti che variano da individuo a individuo. C'è chi è attratto dalla bellezza, chi da qualche particolarità dell'aspetto e chi è affascinato dai tratti sociali, dalla personalità, dalla grazia, la buona conversazione, lo humor, dalla virtù, dalla lealtà, dalla sincerità, dall'empatia, dalla gentilezza, dalla risolutezza. Ciò che guida i sentimenti è la visione che si ha dell'amato. Una sorta di idealizzazione dell'amato proprio perché l'infatuazione è qualcosa di più di un insieme di sentimenti o desideri ardenti, che provoca un'alterazione della coscienza. Sembrerebbe proprio l'infatuazione la molla che spinge la coppia all'impegno di un rapporto. La voglia di stare insieme, il condividere i piaceri e il desiderio dell'altro forma il perpetuarsi di questi piaceri.
Un punto su cui riflettere è quando questi piaceri tendono a diminuire. Una ricerca ha rilevato che almeno il 40% delle coppie hanno avuto, con il passare del tempo, una diminuzione dell'interesse e del desiderio sessuale. Capiamo il perché. Le ragioni sono molte, dice Aaron Beck. Di solito, l'infatuazione del corteggiamento alimenta la fiamma del desiderio; ma quando l'infatuazione viene meno, anche l'intensità del desiderio diminuisce. Secondo gli studiosi, non esiste solo un tipo di infatuazione, infatti, Francesco Alberoni ne rintraccia quattro tipi: infatuazione erotica, il piacere estetico, emotivo e sessuale; l'infatuazione competitiva, se la persona ci conquista, ci accredita invidia e ammirazione sociali; l'infatuazione da dominio, brama di possedere e controllare la persona per trovare un vantaggio personale di potere e autostima; l'infatuazione da perdita, quando si ha paura di perdere una persona a cui non conferivamo valore, ma d’improvviso ci appare in una nuova luce. Nell'infatuazione l'amore resta sospeso, pertanto, quando la persona che si desidera non diventa realtà, ma solo qualcosa di effimero, si rimane delusi. Ci si infatua di qualcuno che si può perdere a cui prima non si presta attenzione. Ad esempio, la moglie e il marito se minacciano di andare via riattivano una passione che dopo soddisfatta si rileva una stupidità. Ci si infatua di conquistare una persona perché attrae e il desiderio si annulla quando la persona è stata conquistata come trofeo o dominata come una schiava. Ci si infatua per piacere erotico ciò semplicemente al suo corpo. Questo tipo di infatuazione, però, può mutare in amore sincero. Ma nella maggior parte dei casi l'infatuazione, dopo che si ottiene l'oggetto desiderato, si svuota e perde ogni significato.
Amare, secondo Umberto Galimberti, è l'espropriazione della soggettività; è l'essere trascinato da soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perché solo l'altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di sé stessa. È il luogo in cui avviene la radicalizzazione dell'individualismo, dove uomini e donne cercano nel Tu il proprio Io. L'unico spazio in cui l'individuo può esprimere sé stesso. 
La sessualità non è carne, è desiderio. Ciò a cui tendere non è l'eiaculazione, ma il desiderio per l'altro, perché desiderando l'altro o sentendosi oggetto del desiderio altrui si scopre l'essere sessuato. Theodor Reik, invece, afferma che l'amore è un fenomeno psicologico, e che il sesso è un processo fisico. L'amore mira a possedere l'ego ideale, il sesso a scaricare una tensione fisica.
La sessualità e la personalità sono interdipendenti. La sessualità condiziona la personalità. La personalità forma e modella il comportamento sessuale di un individuo. La persona dalla forte sessualità è buona e felice. Il sesso le dà un atteggiamento positivo verso gli altri e verso il mondo. La persona sessualmente frustrata è una persona amara. Ma la personalità modifica e controlla la sessualità. La funzione sessuale di una persona rigida è rigida e meccanica esattamente come la sua personalità. Chi è tutto volto ad impressionare gli altri esprimerà questo bisogno anche nelle funzioni sessuali.
In sintesi, amore raccoglie, al suo interno, infatuazione, desiderio, sessualità, ma soprattutto il riconoscimento di sé con l'altro. Guardandoci attraverso l'altro che "si affida" a noi riusciremo ad esprimere noi stessi nel migliore dei modi, saremo in grado di condividere l'esperienza della relazione amorosa evitando incomprensioni, tradimenti e violenze. Se nel rapporto si perdesse la novità della scoperta dell'altro, si cadrebbe inevitabilmente nella fine e seppur riconoscendola, la fine, si rimarrebbe immobili, come quando si è desensibilizzati alle emozioni e c'è bisogno di vivere forti sensazioni per sentirsi pieni dentro. 


 

Dopo questa breve riflessione immergiamoci nel sound di "Amarsi un pò" di Lucio Battisti, perché anche la musica come l'amore apre il cuore...









 


Dott.ssa Chiara Caracò


Bibliografia 
Nicola Ghezzani, L'Amore impossibile 
Aaron Beck, L'Amore non basta 
Alexander Lowen, Amore e psiche

TUTTI I GIORNI SONO IL #25NOVEMBRE

Stamane la prima notizia dei telegiornali è stata un FEMMINICIDIO che si è consumato ieri, il 25 Novembre, proprio nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le donne. Allora abbiamo deciso di andare in contro tendenza e pubblicare un articolo quando nessuno più ne scrive, quando nessuno più bombarderà le nostre bacheche di facebook e twitter di foto di donne abusate, perchè per noi ogni giorno è il 25 Novembre, e ogni giorno è importante per dire basta ad ogni forma di maltrattamento fisico, sessuale, verbale e psicologico.

Ogni anno in Italia 15 mila donne subiscono violenze per lo più in famiglia. Questi sono i dati di chi denuncia, ma non tutte le donne lo fanno, soprattutto nei casi in cui le violenze si consumano tra le mura domestiche. Nel 60% dei casi l’autore della violenza è proprio il partner (48% marito, 12% convivente) e nel 23% è l’ex partner. Mentre nel 25% la violenza è a opera di parenti, amici, colleghi e datori di lavoro. Ma è sconvolgente che il 20% degli abusi e maltrattamenti avviene durante la gravidanza.
Sono stati aggiornati i dati sul fenomeno della violenza contro le donne al 2014. Fenomeno che continua ad essere grave e diffuso. Il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Le donne subiscono anche molte minacce (12,3%). Spesso sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti, ma seppur presenti, le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato, affermano di averlo lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante nella decisione.


Solo nel 2012 in Italia sono state uccise 124 donne, mentre nel 2013 il numero è salito a 179 (con una media di una donna ogni due giorni). Nonostante nel 2014 il numero sia sceso a 115, il dato resta allarmante se aggiungiamo i tentati femminicidi che si aggirano intorno al centinaio. In questo caso parliamo di “femminicidio” e nel 60% dei casi è avvenuto tra persone che avevano una relazione di affetto e di fiducia. Per femminicidio si intende una qualsiasi violenza fisica, sessuale o psicologica che attenta alla salute psico-fisica, alla libertà e alla vita della donna con l’obiettivo di sottometterla, annientarla e ucciderla (Marcela Lagarde, 1993). Ma l’omicidio è il culmine di una vita di violenze e non un momento di follia o un raptus di rabbia.
Prima di arrivare all’omicidio, spesso, soprattutto quando l’uomo è lasciato dalla propria partner, non riesce a superare l’abbandono perché ritiene la donna una “cosa” di sua proprietà, e mette in atto comportamenti quale il perseguitare la donna, pedinarla, chiamarla continuamente, scriverle centinaia di sms al giorno e minacciarla. In questo caso parliamo di “stalking”.


Non vogliamo e non possiamo stare solo a guardare, allora il nostro obiettivo è diventato quello di sensibilizzare la popolazione per farsi che si possano individuare precocemente le situazioni di rischio e i segnali d’allarme. Segnali che devono essere attenzionati dalle donne, dai loro familiari, dai medici di famiglia, dagli amici. 
I segnali d'allarme sono i comportamenti aggressivi del partner, verbali e fisici (un urlo improvviso, un gesto spazientito), insulti, minacce, conflitti continui soprattutto per futili motivi, eccessiva gelosia che comporta privare della libertà la partner e ritenerla un proprio possesso facendo si che abbandoni il lavoro e i rapporti con gli amici e con la famiglia d’origine. Un'altra caratteristica è il sentimento di dominanza di un partner sull’altro e la totale mancanza di rispetto e di affetto (“chi ti ama non ti picchia”). Inoltre, l’uomo mette in atto comportamenti manipolatori alternando l’aggressività con la dolcezza e la gentilezza con cui chiede scusa promettendo che non accadrà più. Ma tale promessa non riesce mai a essere mantenuta. E la totale incapacità di gestire sentimenti di frustrazione, fragilità, umiliazione che si tramutano in aggressività e violenza.
Senza giustificare tali comportamenti, si deve tener conto che molte ricerche hanno osservato che il 20% di uomini abusatori sono cresciuti in ambienti violenti e a loro volta hanno subito maltrattamenti e sviluppato disturbi clinici e di personalità.

Mentre le donne vittime di violenza tendono a sviluppare sensi di colpa, angoscia, insicurezza e vergogna, non “vedono” alternative oltre la sottomissione, credendo di meritare i maltrattamenti subiti. Sviluppano una dipendenza dal proprio partner che gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento della catena “mi picchi-ti perdono-mi ripicchi”, soprattutto in famiglie con figli piccoli da crescere. Tutto ciò si può tradurre in un malessere generalizzato che si riversa in abuso di alcool, droghe, psicofarmaci e sviluppo di disturbi psicologici quali depressione, ansia, attacchi di panico, disturbi dell’alimentazione e del sonno, disturbi psicosomatici e da stress, arrivando anche a tentare il suicidio.

Abbiamo voluto dare un quadro chiaro della situazione, perché crediamo che l’informazione sia la prima arma per sconfiggere il silenzio. Negli anni, nel nostro territorio sono cresciuti i centri antiviolenza cui potersi rivolgere, che affiancano la donna in questo difficile percorso di cambiamento grazie a figure specializzate, quali l’avvocato, lo psicologo, il medico, l’assistente sociale, fondamentale alla presenza di figli nella coppia. Lo sportello di ascolto “Ti Ascolto” Contro La Violenza Sulle Donne, nato a S’Agata Militello, e quello nato a Lipari lo scorso anno, hanno proprio questo obiettivo.
È stato anche istituito il Telefono Rosa, un centralino antiviolenza sul territorio italiano che risponde al numero 1522, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità e che offre accoglienza telefonica multilingue, attivo 24/24 h per 365 giorni l’anno e che indirizza alle casa accoglienza più vicine nella propria provincia, a gruppi di sostegno a cui partecipare e le consulenze specialistiche da effettuare.
Inoltre, riteniamo molto importanti le campagne di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza sulle donne, come quella svoltasi lungo tutto il mese di novembre del 2013 a Lipari dalla Commissione Politiche Sociali ed Istruzione della Consulta Comunale Giovanile e i due convegni aperti alla cittadinanza, e soprattutto ai giovani studenti, presso il Castello Gallego di Sant’Agata Militello rispettivamente il 24 aprile 2015 e il 15 Marzo 2014, grazie alla collaborazione tra l’Associazione Giovani per Sant’Agata e la Consulta Giovanile del Comune di Lipari e i numerosi professionisti che ne hanno preso parte.


Nell’ambito dei lavori svolti con la Consulta Giovanile, oltre ad informare e sensibilizzare la cittadinanza e in particolare gli studenti della scuola media superiore “I.Conti E. Vainicher” e aver attuato corsi di auto-difesa, è stata portata avanti una ricerca, tramite questionario anonimo, effettuata nell’anno 2013/2014. I risultati della ricerca hanno evidenziato che i concittadini liparesi tra i 14 e i 69 anni considerano chi usa violenza una persona con problemi psichiatrici (23%) e incapace di comunicare verbalmente i propri sentimenti (21%). Il 13% del nostro campione (208) si è aperto a noi, affermando di aver subito violenze verbali, fisiche e psicologiche dal proprio partner o ex, e ben il 38% conosce donne che hanno subito in passato per mesi (29%) e addirittura anni (44%) violenze varie prevalentemente in casa, cioè nel luogo che dovrebbe essere considerato il focolare intimo e sicuro (74%). Nonostante il 26% degli intervistati riconosce che la cosa più giusta da fare sia rivolgersi alle forze dell’ordine e denunciare, non è poi così semplice e automatico farlo.


Per indagare questo aspetto, e in particolare, i comportamenti delle donne di fronte ad atti di violenza dei propri partner abbiamo collaborato ad una ricerca attivata dallo Sportello d’Ascolto di S.Agata Militello, nel 2014/2015. I risultati della ricerca hanno rilevato che la maggior parte delle donne tra i 21 e i 65 anni considerano chi usa violenza come una persona con seri problemi da non sottovalutare, non lontano dal pensiero emerso dalla ricerca dell’anno precedente a Lipari. Nel 75% del campione si delinea un profilo di donne che assume un atteggiamento assertivo, senza aggressività o passività di fronte a possibili atti di violenza da parte del partner. Nel caso in cui i litigi o i comportamenti di violenza avvengano davanti ai figli, si rilevano profili di donne che assumono atteggiamenti passivi al fine di proteggere i propri bambini. Pertanto, sarebbe utile indagare se il comportamento assertivo di fronte ad atti di violenza, emerso dalla nostra ricerca, sia correlato con il “non essere vittime di violenza”, ovvero, si pensa di reagire in maniera assertiva solo perché la donna non ha vissuto l’atto della violenza.
Questo è un breve abstract di ciò che le dott.sse Caracò e Casella pubblicheranno a seguito di ulteriori indagini, che sono in corso d’opera, al fine di indagare con più dati e variabili le varie ipotesi. Ringraziamo tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo al nostro lavoro e quanti ancora si spenderanno.

Insieme si può dire NO ALLA VIOLENZA!

Dott.ssa Moira Casella