La società occidentale appare oggi in viaggio verso una direzione incerta, per certi versi "oscura". Tra i più importanti sociologi c'è chi ha parlato di “società liquida”.
Parallelamente,
sembra progressivamente imporsi una rimodulazione del concetto di ”identità” personale in quello di “idoneità”.
Tra i pilastri della nostra attuale "impalcatura" sociale, cerchiamo di rivolgere le nostre riflessioni, schematicamente, sui seguenti:
- la performance/produttività
- la fruibilità, la provvisorietà e l'intercambiabilità dei significati e dei rapporti interpersonali
Andando per immagini, il mondo attuale potrebbe
rassomigliare ad un grande palcoscenico, il quale ci concede una crescente
libertà di espressione (riduzione dei vincoli/obblighi), ma ci richiede, quale
precondizione necessaria, un certo “livello” di prestazione ed adeguatezza.
Oggi possiamo fare molto (più di prima), ma dobbiamo rendere
molto (più di prima), possiamo sbagliare poco (molto meno di prima), siamo
sostituibili (molto più di prima).
Tutto ciò probabilmente non è senza conseguenze.
Se l’allentamento dei legami, l’impoverimento dei valori,
l’indebolimento dell’ “etica” ( in ultima analisi, del Super-Io) possono da un lato “mettere alla porta” il tema della
colpa, d’altro canto lo fanno rientrare dalla finestra: “stressando” al massimo
grado i sentimenti personali di insufficienza, di inadeguatezza, di indegnità
(dell’Io).
Accenniamo dapprima al tema della “società liquida”.
Oggi siamo indubbiamente esseri meno “vincolati”: talvolta
capita anzi di sentirci tali di fronte a situazioni, (come ad es. lo stabilirsi
di una relazione affettiva) che hanno per natura la caratteristica (tra le
altre) di restringere il nostro “campo d’azione” individuale; situazioni
che tuttavia, fino a pochi decenni fa, non vivevamo con lo stesso senso
di soffocamento, di “carenza di libertà”.
Nietzsche
considerava il disturbo mentale una "malattia della libertà", nel duplice senso che la libertà viene coartata
dal sorgere del disturbo, ma che paradossalmente può anche esserne concausa: l’uomo,
tra gli esseri viventi, è quello dotato del massimo grado di scelta e
autodeterminazione: il libero arbitrio!
Allora, se anche la libertà odierna venga (giustamente, e
fortunatamente) ricercata, rivendicata, difesa.. forse, “troppa libertà” può
porre delle imprevedibili insidie: il
rischio è quello di configurarsi quale una sorta di immenso mare aperto, dai
confini troppo indistinti, nonché privo di punti di riferimento (di “porti
sicuri” ai quali attraccare: per ripararsi, ma anche per chiedere aiuto, se
servisse).
E se questa “overdose” di libertà finisse per spaventare? E
se questo gigantesco mare aperto slatentizzasse in noi una sorta di “agorafobia
esistenziale”?
Kierkegaard
riteneva, forse non a caso, l’angoscia del vivere come un qualcosa di
connaturato all’esistenza umana: l’uomo che arriva a scrutare il fondo delle
proprie possibilità spirituali verrebbe colto dalla “vertigine della libertà”; la quale però, scontrandosi con l’ineluttabile
finitezza umana, finirebbe per trasformarsi in angoscia.
E se questo tipo di vertigini stesse diventando un prezzo,
sempre più diffuso, da pagare nella nostra società attuale?
Seconda riflessione (o suggestione).
Se, su questo grande palcoscenico, possiamo muoverci con
gradi sempre maggiori di indipendenza, appare al tempo stesso sempre più
importante farlo nel modo “vincente”: occorre correre di più, più velocemente,
in quante più direzioni possibili.
Tutto deve mirare all’utile e all’obiettivo. Odioso,
intollerabile non essere all’altezza; impensabile (e rischioso) mettere
l’essere umano, il suo vissuto davanti
(anche accanto) al lavoro che può (deve) fornire. Un esempio, vissuto in prima persona. Pochi mesi fa incontro
un’amica, che mi si presenta in lacrime. Mi racconta l’accaduto: lei, da poco
incinta, aveva appena ricevuto un’umiliazione sul posto di lavoro. Aveva appena messo al corrente il suo superiore della (lieta?) notizia. Ma, le era
stato “spiegato” (in realtà urlato) che questo significava per lei un grosso
problema: avendo scelto, o forse “osato”
fare un bambino, metteva a repentaglio i fragili equilibri della “ditta”.
Siamo probabilmente dentro a un vortice. E fatichiamo a
riconoscerlo come tale, perchè pienamente all’interno di esso. Una “giostra”
impazzita, che ci regala il brivido, ma può anche esporci ad alcuni pericoli:
- Coloro i quali, per diverse ragioni, più vulnerabili possono andare incontro a
diversi “infortuni”: spesso sono reazioni depressive, a volte piuttosto severe. E’ l’”ondata di ritorno” della colpa,
sottoforma di autoaccusa, di linciaggio alla propria persona: un “tribunale interno” che decreta le tue
responsabilità e può sancire la tua condanna; tradurre la tua (reale o
presunta, comunque percepita) inadempienza in fallimento; dichiarare la tua
indegnità.
- Anche soggetti più “resilienti” possono tuttavia “segnare
il passo”, mostrare talvolta qualche piccolo segnale di cedimento, sottoforma
di reazioni più o meno fisiologiche: malumori, nervosismo, preoccupazioni,
stanchezza ed affaticamento (fisico e mentale), dolori diffusi, disordini
gastrointestinali, difficoltà sessuali, turbe del sonno, etc.
Dunque, in esame l’ipotesi che una serie di fattori sociali
possano oggi, in modo insospettabile ma sostanziale, incidere sulla nostra
stabilità psichica. D’altronde, sarà anche un caso, ma le stime dell’OMS (entro
il 2020 la depressione sarà, dopo le malattie cardiovascolari, la più diffusa
malattia su scala mondiale) sembrano certificare la sofferenza mentale quale “uno dei più gravi problemi dell’epoca contemporanea"
Per illustrare al meglio quanto teorizzato riguardo ai
suddetti fattori ci affidiamo all’ennesima metafora: nel passato recente marciavamo
su un terreno più solido, ad andatura più moderata; maggiore era il tempo a
disposizione; la meta certamente meno ambiziosa, ma non di rado vissuta come
gradita, o quantomeno accettabile. Oggi (s)corre sotto di noi un tapis roulant,
dalla velocità crescente, spesso sprovvisto di corrimani a cui tenerci, in
preda ad una corsa imprevedibile: non sappiamo quando finirà, né, spesso, dove
ci porterà, forse nemmeno certi di volerlo sapere.
Se siamo di fronte a un tutto così frenetico, mutevole, in ultima analisi “traballante”, sulla crescente “epidemia” di
disagio psichico si potrebbero formulare ulteriori ipotesi. Si potrebbero intravedere,
in “filigrana”, delle motivazioni assai profonde, ed insospettabili.
L’ipotesi suggestiva (o
forse la provocazione) è che tutto ciò possa avere, almeno in parte, a che fare
con le “radici” dell’esistenza umana. Una visione “finalistica” del sintomo
mentale, che andando oltre le dinamiche psicologiche (oltre la “semplice” ricerca
dei vantaggi primari e secondari, di freudiana memoria), celerebbe piuttosto,
su un piano più esistenziale, un “grido di ribellione”: un qualcosa di utile a contenere
quell’ingombrante ”eccesso di libertà” che, seppur inconsciamente, avvertiamo
come minaccia; un modo per ridimensionarne il peso, sotto il quale rischiamo di
sentirci schiacciati.
Quasi che ad essere invaso fosse il nostro intimo essere:
così intrinsecamente relazionale; bisognoso per la sua realizzazione di una
“dose” (anche piccola, ma stabile e costante) dell’altro, da scoprirsi inerme,
quasi spaventato di fronte a questa “straripante” libertà dell’era moderna. La
quale, dietro l’apparente promessa di regalare “onnipotenza”, rivela invece
tutta la fragilità dell’esistenza umana, dischiudendo le angosce che ne
sottendono la friabile trama.
Dott. Stefano Naim
Medico Chirurgo Specializzando in Psichiatria presso Ospedale S. Andrea di Roma
Medico Chirurgo Specializzando in Psichiatria presso Ospedale S. Andrea di Roma
Comitato di Redazione Blog del Benessere Psicologico - Associazione Multiverso
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