Nell’immaginario collettivo essere
sensibili spesso sembrerebbe uno svantaggio non di poco conto. Le persone che
si riconoscono come sensibili spesso avranno ricevuto commenti infelici del
tipo: “ma perché reagisci così, non piangere, cerca di farti scivolare addosso ciò
che dicono gli altri, smettila di essere così sensibile”… e così via. Dai dati
emerge infatti che non è una condizione poco probabile bensì è alquanto
diffusa.
Lo psicologo americano Jerome Kagan, considerato uno dei precursori della psicologia dello sviluppo, confermando indirettamente le scoperte di Elaine N. Aron infatti giunse alla conclusione che rientra nella categoria degli ipersensibili dal 15 al 20 % di tutti gli esseri umani. Anche se definite con termini diversi, per Kagan “iperreattività” e per Aron “ipersensibilità”, analizzando il cervello delle persone ipersensibili sono emerse delle particolarità e delle differenze neurali a livello della amigdala e della corteccia prefrontale. Proviamo a definire cosa è in realtà la sensibilità. Essa è considerata una capacità di percepire attraverso i sensi, stimoli interni ed esterni.
Dunque sensibilità e percezione camminano di pari passo. La percezione è infatti al centro del mondo degli ipersensibili, inoltre essa è assolutamente soggettiva, difatti persone diverse percepiscono stimoli diversi (condizionati dai valori e dagli interessi). È nello stesso tempo un punto di forza ma anche una debolezza, se non si riesce a gestire correttamente. Dunque anche il contatto con gli altri può indebolire. Pensate a come può diventare estenuante anche fare un giro per le vetrine e per noi donne potrebbe rivelarsi davvero un danno non di poca importanza. Proviamo a capire perché, quando si va a fare shopping, noi ipersensibili (ebbene si ve lo confesso lo sono anch’io) avvertiamo esclusivamente impulsi esterni che ci bersagliano e questo ci fa stare continuamente sul “chi va là”. La debolezza che quindi emerge nella nostra vita sta proprio nella percezione, che però con la sua corretta gestione dei filtri da utilizzare per percepire consapevolmente gli eventi potrebbe portare un cambiamento efficace nella nostra vita che automaticamente fa innalzare i livelli della nostra autostima.
Lo psicologo americano Jerome Kagan, considerato uno dei precursori della psicologia dello sviluppo, confermando indirettamente le scoperte di Elaine N. Aron infatti giunse alla conclusione che rientra nella categoria degli ipersensibili dal 15 al 20 % di tutti gli esseri umani. Anche se definite con termini diversi, per Kagan “iperreattività” e per Aron “ipersensibilità”, analizzando il cervello delle persone ipersensibili sono emerse delle particolarità e delle differenze neurali a livello della amigdala e della corteccia prefrontale. Proviamo a definire cosa è in realtà la sensibilità. Essa è considerata una capacità di percepire attraverso i sensi, stimoli interni ed esterni.
Dunque sensibilità e percezione camminano di pari passo. La percezione è infatti al centro del mondo degli ipersensibili, inoltre essa è assolutamente soggettiva, difatti persone diverse percepiscono stimoli diversi (condizionati dai valori e dagli interessi). È nello stesso tempo un punto di forza ma anche una debolezza, se non si riesce a gestire correttamente. Dunque anche il contatto con gli altri può indebolire. Pensate a come può diventare estenuante anche fare un giro per le vetrine e per noi donne potrebbe rivelarsi davvero un danno non di poca importanza. Proviamo a capire perché, quando si va a fare shopping, noi ipersensibili (ebbene si ve lo confesso lo sono anch’io) avvertiamo esclusivamente impulsi esterni che ci bersagliano e questo ci fa stare continuamente sul “chi va là”. La debolezza che quindi emerge nella nostra vita sta proprio nella percezione, che però con la sua corretta gestione dei filtri da utilizzare per percepire consapevolmente gli eventi potrebbe portare un cambiamento efficace nella nostra vita che automaticamente fa innalzare i livelli della nostra autostima.
In genere si tende ad associare la
sensibilità molto spiccata alle donne piuttosto che agli uomini, eppure un
ipersensibile su due è un uomo. Fin da bambini infatti la loro particolare
capacità di avvertire stimoli e/o sensazioni non viene apprezzata dai genitori e l’irritazione o il disagio che si manifesta
sui volti dei padri o delle madri fanno intimorire il bimbo per paura di non
essere accettato come avviene pure nel gruppo dei pari, quando pur di essere
accettati come membri i ragazzi ipersensibili si adattano allo spirito del
gruppo mostrandosi forti. Anche i media spesso propongono modelli dell’ “UOMO CHE NON DEVE CHIEDERE MAI”, evidenziando
come sia meno accettabile l’immagine di un uomo sensibile. Anche per questo
motivo molti ragazzi cercano di annullare la loro sensibilità per cercare di
mostrarsi più uomini.
La situazione muta quando si diventa
adulti, a volte l’ipersensibilità non viene riconosciuta e spesso le
conseguenze emotive che ne derivano possono far affiorare sindrome ansiose,
nevrosi, depressione e facilmente confuse con ad esempio le dipendenze e/o le co-dipendenze,
l’instabilità emotiva, l’ADHD.
Rolf Sellin, consulente
psicoterapeuta, egli stesso ipersensibile, che ha fondato a Stoccarda l’HSP
(Highly Sensitive Persons) Institute, ritornando al concetto di mascolinità la
considera un importante base dalla quale partire per una sensibilità maggiore:
“chi è forte e sa farsi valere può senza dubbio permettersela. Nel suo libro “Le
persone sensibili hanno una marcia in più”, affronta il concetto di
ipersensibilità come una vera e propria dote. Anche se chi pensa di averla,
spesso non la riconosce come tale e non sa come utilizzarla al meglio.
Vorrei concludere con una frammento
del capitolo 6 dal titolo Ipersensibilità:
un continuo stimolo alla crescita personale, del libro sopra citato, che ho
letto recentemente e che mi ha dato una quadro davvero essenziale del mondo di
cui faccio parte anch’io, spesso considerato poco vantaggioso nella contesto
storico in cui viviamo.
“Molti ipersensibili si sentono
subito meglio nel momento in cui si riconoscono tali. La nostra, quindi non è
una condizione così disperata: siamo semplicemente un po’ diversi. E non siamo
soli al mondo con questa caratteristica. Ce ne sono altri, che magari non
abbiamo mai riconosciuto come tali solo perché sono stati dei veri maestri
dell’adattamento. Altri, invece, possiamo averli giudicati in modo sbagliato e
ritenuti esattamente il contrario di quello che sono, ossia degli insensibili,
perché ci accorgevamo di loro solo quando per l’ennesima volta si spingevano
oltre i loro limiti, reagivano irritati e si comportavano in maniera poco
rispettosa.”
Quindi se prima l’essere ipersensibili poteva costituire un deficit, ora potremmo parlare di vantaggio o addirittura "superpotere" in grado di migliorare la nostra vita e quella delle altre persone. Piccolo consiglio: abbiate il coraggio di riconoscervi ipersensibili, perché chi ha la possibilità di gestire nel modo migliore gli stimoli che ci giungono ha più probabilità di assaporare la vita e le sue mille sfaccettature, permettendo di avere una migliore panoramica di ciò che accade intorno a noi e perché no, evitando anche probabili pericoli grazie all’attenzione maggiore che contraddistingue l’ipersensibile.
Dr.ssa
Carmela Gratteri
(E.N.
Aron, The Highly Sensitive Persons. How
to Thrive When the World Overwhelms You, Broadway Books, New York, 1996.
J. Kagan, La
trama della vita. Come geni, cultura, tempo e destino determinano il nostro
temperamento, Bollati Boringhieri, Torino, 2011.
R. Sellin, Le
persone sensibili hanno una marcia in più, trasformare l’ipersensibilità da
svantaggio a vantaggio, Feltrinelli Editore, 2013).